Italia deferita alla Corte di giustizia Europea sui licenziamenti collettivi
La direttiva
98/59/CE fa obbligo ai datori di lavoro che prevedono di effettuare
licenziamenti collettivi di procedere a consultazioni con i rappresentanti dei
lavoratori al fine di giungere a un accordo. Nelle consultazioni devono essere
esaminate le possibilità di evitare i licenziamenti collettivi o di ridurre il
numero di lavoratori interessati, nonché di attenuare le conseguenze dei
licenziamenti ricorrendo a misure sociali di accompagnamento intese in
particolare a facilitare la riqualificazione e la riconversione dei lavoratori
licenziati.
La
legislazione italiana e la pertinente giurisprudenza italiana escludono da tale
normativa i dirigenti. Esclusione che dunque costituisce non solo una discriminazione
ingiustificata contro i dirigenti stessi, ma può anche, in certi casi,
determinare un indebolimento ingiustificato della tutela di altre categorie di
lavoratori sul posto di lavoro. In particolare, essa può
rendere più difficile raggiungere la soglia di licenziamenti richiesta dalla
legge per attivare la procedura di informazione e consultazione.
Al fine di assicurare un’adeguata attuazione della
direttiva, la definizione di “lavoratori” non può essere lasciata alla
discrezione degli Stati membri. Al contrario, i ‘lavoratori’ devono essere
definiti in modo uniforme in tutta l’UE, in linea con gli obiettivi della
direttiva, con il principio di parità e con la carta dei diritti fondamentali
dell’UE.
L’Italia
ha attuato la direttiva sui licenziamenti collettivi tramite la legge n.
223/1991. Le autorità italiane competenti, compresi i tribunali,
interpretano questa legge
come se escludesse i
dirigenti dal calcolo del numero dei licenziamenti che il datore di lavoro
intende effettuare e dalle garanzie procedurali legate
all’informazione e consultazione dei lavoratori sul posto di lavoro.
La categoria dei dirigenti comprende, secondo la
giurisprudenza italiana, non solo i dirigenti di grado elevato che detengono
notevoli poteri decisionali – tra cui la gestione del personale – ma anche i
dirigenti di grado basso e intermedio che hanno un livello elevato di
competenza professionale ma non esplicano il ruolo di datore di lavoro e non
hanno un potere reale per gestire i mezzi di produzione all’interno
dell’impresa”.
Fonte: Lavoro e Diritti.com
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