IL RICHIAMO DEL TEMPO
Prima parte
L’aria del mattino fresca e profumata di sentore del
ginepro, entrava nell’anima tramite il suo respiro. Nel buio della grande
camera da letto, scostò le pesanti tende ed apri le grandi ante di legno della
finestra. Davanti ad Attilio apparvero lontani monti azzurri con venature d’oro
provocate dalla alba, le verdi pianure e i boschi che li separavano dal
castello sembravano risvegliarsi lentamente. E ad ovest il colore blu e grigio
del mare del nord.
La sorpresa fu grande, come il precedente spavento di
essersi svegliato al buio, ma stavolta l’emozione gli faceva mancare il fiato.
Dov’era il suo letto? Si voltò sperando di vedere la sua piccola stanza, il
comodino, il cassettone il solito armadio. Ma dove erano? Davanti a lui c’era una
grande stanza con le pareti costituite da grandi blocchi di granito, un enorme
camino, con il focolare ormai a brace e arazzi tanti arazzi di fattura antica
ma con colori eleganti e vivi, i cui personaggi sembravano aver lasciato
l’ardore della battaglia raffigurata per guardare l’ospite strabiliato della
stanza, che a lenti e brevi passi e con la bocca semiaperta ad occhi sgranati
carezzava l’enorme letto a baldacchino intarsiato di grifoni e corone. Le sue
mani tremule ed esitanti nel toccare quel legno di quercia massiccio sembravano
non credere al proprio tatto. Non era la sua stanza, la sua piccola stanza dove
si era svegliato tante mattine, tutto sembrava insignificante rispetto
all’imponenza di quell’ambiente in cui si trovava. Si allontanò dal letto e si
riversò su un grande sedile anch’ esso di quercia intarsiata. Socchiuse gli
occhi, e strinse i pugni cercando di controllare i battiti del cuore. Cosa
succedeva?, era un sogno o un incubo da cui non riusciva a risvegliarsi. Ma
stranamente non sentiva l’ansia notturna di chi vive un incubo, anzi, con la
ripresa graduale della coscienza si accorse di non avere più il suo consueto
pigiama a fasce bianche e azzurre, ma guardandosi le mani, vide che i suoi
polsi erano coperti da una trama di delicati e leggeri merletti e seguendo con
lo sguardo il braccio vide la manica in damasco con un delicato ordito in seta,
di cui non aveva mai visto così belli e che al solo tatto presagiva una qualità
di grande sfarzo. Ma la sorpresa maggiore, fu guardandosi la mano sinistra, non
aveva mai portato anelli ma ora, all’anulare, vi era un massiccio e pesante
anello d’oro, di una strana manifattura rustica, al centro vi era un grande
ametista color rubino in cui avevano inciso un leone rampante e tutt’intorno
una cornice d’oro con incise delle lettere, che creavano le parole “Guillame du
Temple” ed una piccola croce. Di quegli anelli, come gli arredamenti della
stanza, di simili li aveva già visti ma questo lo sorprese ancor di più. Li
aveva visti di simili, si, ma solo nei libri di storia. Un rumore di pesanti passi lo distolsero da
quei pensieri, il chiavistello della pesante porta slittò all’indietro e nella
stanza entrò dapprima un monaco di mezza età pallido e ceruleo, che odorava di
saio e incenso dietro di lui due giovani donne vestite stranamente con ampie e
lunghe gonne di panno generosamente scollate e con le maniche con un ampia
spallina, i capelli raccolti in un chignon fermato da una reticella
intrecciata. I visi e lo sguardo basso e l’ampio inchino tradivano la loro
condizione di giovani serve appena giovinette. I loro visi svelavano una
semplice e innocente bellezza, eppure il loro passaggio ravvicinato provocò in Attilio,
una spiacevole sensazione di freddo come se fosse vicino a del freddo marmo.
Per ultimo entrarono due grosse guardie, con la loro pesante corazza , calzari
e cosciali in metallo, che avevano provocato il rumore dei passi pesanti
poc’anzi sentiti. Al saluto del monaco ci fu una pausa di alcuni lunghi
secondi, infatti perl’inaspettato saluto “Benedictus lesus Jesus Christus”,
questi secondi servivano alla mente per rispolverare il latino del liceo per
adeguare la risposta. “Semper laudatur” fu la risposta e il monaco si tirò
indietro di un passo per far avanzare le ancelle. Una di esse aveva portato un
catino di acqua che versavano in un bacile ampio di bronzo, versandovi petali e
oli profumati al suo interno. Il sempre più sorpreso Attilio, guidato dalle
mani delle ancelle, fu fatto sollevare dal sedile, e la sua preziosa camicia da
notte fu delicatamente tolta ritrovandosi nudo davanti a quelle persone. Nel
silenzio le due ancelle con una spugna marina bagnata nel catino cominciarono a
lavarlo, e intanto nella mente di Attilio una vera e tremenda tempesta di
interrogativi e pensieri bloccava ogni suo muscolo. Ma dove era? Chi erano
quelle persone? Perché quella strana sensazione di freddo e staticità. Stava
sognando? Era morto nel sonno e questo era l’aldilà?
Bruno Vinci