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28 luglio 2012

LA "DOLCE" PROPOSTA DELLA NESTLE'.


La proposta di Nestlè per i lavoratori della Perugina.
I lavoratori dello stabilimento della Perugina di San Sito ieri hanno scioperato, due ore per ogni turno: protestano contro la nuova proposta della Nestlè, gruppo multinazionale di cui la “fabbrica di cioccolato” fa parte. L’iniziativa che l’azienda ha messo sul tavolo è questa: ai lavoratori che volontariamente accetteranno una riduzione dell’orario, l’azienda ha offerto la possibilità dell’assunzione per un figlio.



L’idea è di Gianluigi Toia, direttore delle relazioni industriali della Nestlé Italia e prevede part-time da 30 ore. Una proposta che la multinazionale definisce un “patto generazionale per favorire l’occupazione giovanile e vincere le nuove sfide competitive, pur in un contesto di crisi”, una “risposta seria, responsabile e coraggiosa in un momento di difficoltà per l’economia, non solo in Umbria e in Italia, ma in molti Paesi europei”.


Ma ai sindacati la proposta non piace. Sara Palazzoli, segretaria generale della Flai Cgil Umbria, afferma: “Siamo contrari perché non consideriamo quella di Nestlè una proposta seria e di prospettiva. In sostanza la più grande multinazionale alimentare del mondo ci propone di ridurre le ore di lavoro per i padri e per i figli, creando in questo modo due nuovi poveri”. Secondo la sindacalista, si tratta di “una provocazione e come tale va rispedita al mittente. Dietro c’è qualcos’altro, probabilmente la volontà di ripensare l’impostazione del lavoro in fabbrica all’insegna della flessibilità”.


Azienda e sindacato sembrano essere in disaccordo anche sui numeri: per Palazzoli “l’età media dei dipendenti dello stabilimento di San Sisto è di 33-34 anni. Questo significa che i lavoratori con figli adulti sono pochissimi, una decina su un totale di un migliaio di dipendenti”, mentre secondo Toia “l’età media dei collaboratori dello stabilimento Nestlé Perugina di San Sisto, assunti a tempo indeterminato, ai quali è rivolta la proposta, è 50 anni. Dunque stimiamo in un centinaio circa i figli dei dipendenti che potrebbero entrare in azienda con un contratto a tempo indeterminato, anche se difficile fare previsioni, trattandosi di un’iniziativa su base volontaria”.


Ma il caso della Perugina è tutt’altro che una novità e soprattutto non è isolato: Poste Italiane, per esempio, per i suoi “esodati” aveva previsto un incentivo di accompagnamento alla pensione pari a 70mila euro. Cifra che si è ridotta a 10mila per i 500 dipendenti che hanno scelto l’opzione Svincolo, che in cambio offriva l’assunzione di uno dei figli; due anni fa Unicredit accettò la proposta avanzata dai sindacati di assumere i figli dei dipendenti che avessero deciso il prepensionamento, pur fissando alcuni paletti come laurea e conoscenza dell’inglese.


L’opinione pubblica è divisa. L’idea dello scambio padri-figli è accolta serenamente da Bruno Manghi, sociologo ed ex sindacalista Cisl: “Se vai a studiare i cognomi dei dipendenti di molte fabbriche, anche della Fiat in certi anni, scopri che sono gli stessi, che il lavoro si è spesso tramandato di padre in figlio. E non solo in Italia: la Michelin, per esempio, ha una storia di grande paternalismo”; un regime di job-property familiare che non piace, invece, a un esperto di diritto del lavoro come Pietro Ichino.


Voi cosa ne pensate?

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