Molti amici e colleghi mi hanno chiesto di tornare a
scrivere e mi sono reso conto che molti non si limitano a guardare parole
scritte ma a leggere e pensare.
E cosi hanno stimolato la mia attenzione e il mio rispetto
per loro. Ma non mi occuperò per questa volta di temi EAVici e
Circumvesuvianici. Infatti, molti non sanno che scrivo racconti magari stupidi,
ma che piacciono a persone in tutta Italia ( e purtroppo gratis).
Non soddisfatto della televisione, mi creo i racconti nella
mente e i personaggi di varie epoche ma con attinenze attuali. Per cui ho
trascritto un episodio per chi nella sera di turno in stazione vuole distrarsi
qualche minuto con un racconto che per poco tempo lo porti lontano nel luogo e
nell’epoca. Questo che segue è l’episodio
iniziale da un mio scritto (esagerato dire romanzo), il cui protagonista è un personaggio che ha
similitudine con l’Abate del “Nome della Rosa” di Eco; simile ma con un
retroterra da peccatore che espia un orrendo misfatto combattendo il male con ogni
mezzo, anche se con metodi umanamente discutibili ma estremamente efficaci. Il
testo, comincia con una presentazione del personaggio, che scrive un segreto
diario che ipoteticamente leggiamo noi curiosoni.
E ovvio che essendo letto da molte persone che stimo,
apprezzerei suggerimenti e opinioni da parte loro.
Per chi non stimo (e purtroppo ce ne sono) , continuate come
sempre: guardate lo scritto ma senza leggere e pensare.
Bhe cominciamo a sfogliare la pergamena del vecchio
manoscritto, un abbraccio agli amici a cui ho promesso che avrei scritto di
nuovo sul blog:
“Qui in convento il priore mi conosce come Ulf, ma tutti mi
chiamano fratello Alfio.
Ora sono un monaco cappuccino, ma la mia missione è ancora di combattere l’ingannatore, non ho discepoli,
ma qualcuno troverò tra i coraggiosi puri di cuore, per continuare la mia opera,
la missione cui fui addestrato da giovane fratello dei poveri Soldati di
Cristo.
Allora non sapevo cosa ero; se ero il bene o il male, cominciai a sospettarlo quando mi resi conto
che i miei fratelli, pur essendo valorosi combattenti, mi temevano. So solo che
ero una creatura di Dio, sia nel bene che nel male e dovevo obbedire alla fede
del mio creatore. La mia vita non aveva importanza e nemmeno quella
altrui, mi si diceva di obbedire e
difendere i protetti da Dio e non badavo al male o al dolore che avrei
procurato nel farlo, ma contava solo che chi avrei protetto sarebbe vissuto
lodando e ringraziando l’immenso e luminoso nome di Dio.”
Questo solo sapevo fare, non mi interessava altro, dove
c’era la morte c’era emozione per la mia anima, io correvo gridando il nome di
Cristo e agitando la mia affilata spada , sperando che se nelle anime perverse
che affrontavo, se c’era un barlume d’ innocenza li avrebbe spaventate e allontanate
dalla mia furia di persecuzione del male. Chi aveva il coraggio di affrontare
la furia del Signore per me era il male nella sua pura essenza di nemico di Dio
e andava distrutto, in qualsiasi modo.
Perché prima di diventare un Templare io stesso fui
soggiogato dal male e combattere il male rischiando la mia vita era la mia
espiazione.
Ora, qui in convento mi nascondo da me e stesso come una
spada sotterrata, ma per quanto può rimanere sepolta la Spada della Giustizia
divina?
E venne quel giorno, arrivò senza annunciarsi, in un pomeriggio piovoso mentre ritornavo in
convento su un sentiero della Sila. Rientravo lentamente in paese da una
questua tra i contadini del Contado. L’odore della terra di Calabria emanava un
vapore rinfrancante di quella prima pioggia di un imminente autunno. Un rumore
tra i cespugli, mi fece voltare e misi la mano destra sul lato del saio dove
sotto nascondevo un ricordo della vita Templare. Un segreto pugnale, ignoto ai
fratelli del convento, che tenevo per sentirmi, forse, diverso dagli altri
monaci Cappuccini. Intravidi un piede tra i cespugli e accostandomi vidi
riversa a guardare il cielo con gli occhi sbarrati una giovane fanciulletta. I
suoi abiti erano strappati, mi guardai intorno, ma non c’era nessuno. Poi i
miei occhi videro nelle sue mani un piccolo crocefisso di legno spezzato nella
parte alta come strappato nel tentativo di divincolarsi. Le avevano usato
violenza ma era una bambina, di circa dodici anni e vigliaccamente uccisa.
Mi allontanai per cercare aiuto per trasportare il corpo, ma
osservai il terreno intorno per evidenziare tracce dell’assassino. Ma non ce ne
erano, una volta sul sentiero notai pero orme di sandali più nette, e mi recai
in quella direzione nella ricerca di
aiuto e di eventuali testimoni. Con il viso della bimba nella mente e la sua
anima nel cuore, dentro di me montava l’odio per quel demonio che aveva
trasformato un peccatore in un assassino elevandolo al grado di demone in carne
ed ossa. Cominciai a intravedere un altro monaco che procedeva avanti a me con
passo svelto. Lo raggiunsi per chiedergli aiuto, e lui era molto sorpreso,
cercava di tenermi lontano e si copriva ossessivamente il viso e al mio
racconto della scoperta della bimba uccisa cominciò a farsi il segno della
croce in maniera ossessiva. Fu allora, che notai che dal suo saio dove avrebbe
dovuto pendere il crocifisso pendeva solo un pezzetto di legno. Quello, che
mancava al crocefisso della bambina. Lo guardai e lo costrinsi a guardarmi.
Un ora dopo giunsi al convento e avvisai fratelli che avevo
trovato una bambina uccisa e un monaco sconosciuto pugnalato, e che Dio mi
perdoni!”
Stralcio dalla “La
dura mano di Dio” racconto di fantasia.
Saluti a tutti.
Bruno
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