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30 settembre 2013

L'OSPEDALE DEI TRENI. DI DAVIDE CERBONE


Davide Cerbone de Il Mattino di Napoli

L'ospedale dei treni sta in un capannone della periferia Est. Ultima fermata, Ponticelli. È qui che i convogli malmessi dell'Ente Autonomo Volturno vengono a ricoverarsi dopo le stanche giornate passate a faticare su e giù per la Campania. Ci arrivano direttamente dai binari, e approdano nel grande piazzale che si apre davanti all'officina deputata alle grandi manutenzioni, quelle programmate (sulla base del tempo e del chilometraggio) e quelle dette «correttive».
A smistare questo traffico di vagoni bisognosi di soccorso è l'assistente di trazione, che su segnalazione del macchinista stila un avviso di guasto, valuta l'entità del danno e secondo una sorta di codice verde, giallo o rosso affida la vettura alle cure dell'officina più idonea. «Per i guasti meno importanti abbiamo quelle di Porta Nolana e San Giovanni, dove si fanno riparazioni rapide, i casi più delicati arrivano qui: il triage in ambito ferroviario lo abbiamo inventato molto prima che negli ospedali», sorride Michele Sicolo, responsabile della manutenzione dell'impianto di Ponticelli. Dei 142 addetti assegnati alle tre officine della ex Vesuviana, 120 lavorano a Ponticelli su un turno unico che va dalle 7.03 alle 15,21. «Siamo tra le pochissime aziende che non hanno esternalizzato questo servizio. Anzi, serviamo altri 20 clienti in tutta Italia. La manutenzione ce la facciamo in casa, con un risparmio notevole e una formazione continua dei lavoratori che ci permette di acquisire know-how e di ridurre al minimo i tempi di intervento» sottolinea Valeria Casizzone, avvocato e direttore generale dell'azienda dal 2011. «Abbiamo salvaguardato i livelli occupazionali, ridotto gli straordinari, dimezzato il numero dei dirigenti e aumentato la produttività. Questo grazie alla condivisione di scelte con i sindacati, che vede nell'accordo del dicembre 2012 un traguardo importante».
Ma nonostante la dedizione di ingegneri e manovali, qui gli ammalati spesso diventano lungodegenti. Perché i soldi non ci sono e i pezzi di ricambio nessuno te li regala. «I nostri utili, che derivano dal contratto di servizio e dalla vendita dei biglietti, si sono ridotti per la diminuzione dei fondi pubblici, ma anche a causa dell'introduzione di Unico Campania - osserva la Casizzone -. Paghiamo una politica nazionale che ha privilegiato l'alta velocità a scapito delle ferrovie regionali, di quelle campane in particolare». L'Eav dispone oggi di 144 treni, dei quali ben 96 sono fermi per mancanza di ricambi. Una falcidia che si traduce in disservizi intollerabili per quello che viene definito un servizio minimo essenziale. «Abbiamo presentato alla Regione un progetto di revamping di 41 treni, dei quali 37 sono della Circumvesuviana - spiega l'ingegner Pasquale Sposito, direttore della Divisione trasporto -. Siamo in attesa dell'ok della giunta». Ma intanto le macchine continuano a marcire nelle officine. «Tra manutenzione ordinaria e straordinaria, arrivano una ventina di treni ogni giorno: ma molte volte non ci sono i soldi manco per le guarnizioni». «L'impegno è tanto, ma non vediamo i risultati: è mortificante», dice Antonio Cerasuolo, 48 anni, mentre lavora alla tornitura delle ruote. «Per noi stare in Vesuviana era un vanto, ora ci imbarazza: è un peccato», aggiunge Ignazio Guida, 59 anni. «Una volta si diceva che quando passava il treno le persone regolavano l'orologio. Adesso lo buttano», sorride amaro Vincenzo Mancini, 56 anni, trentatré dei quali passati qui. In effetti, nel 2010 sulla tratta Barra-Napoli nella fascia oraria 7-9 del mattino il tempo di attesa era di circa due minuti, oggi se va bene si superano i cinque. «Una certa quota di evasione è fisiologica, ma adesso s'è impennata a causa del non riconoscimento del servizio. E se saltano le corse diventa difficile chiedere ad un passeggero stanco e nervoso se ha fatto il biglietto», spiega Sposito. In queste condizioni, garantire le 328 corse giornaliere previste dal lunedì al venerdì diventa un'impresa quotidiana. Se prima ogni vettura percorreva più o meno 300 km al giorno, infatti, man mano che i convogli disponibili si riducono quella cifra sale. Come se non bastasse, poi, ben 83 treni sui 144 totali risalgono al 1970. Così, all'usura delle locomotive corrisponde quella degli utenti.
Insomma, si va avanti con l'incertezza che si presenta puntuale al risveglio, a darti il buongiorno. Grazie ad un sistema informatico, i rapporti concorrono a comporre una specie di cartella clinica del treno che permette di risalire ad uno storico di tutti gli interventi effettuati: data, ora, nome dell'operatore, tipo di guasto e ricambi utilizzati «un livello di sicurezza dei dati altissimo» assicura Casizzone ed estende la garanzia ai treni. «Esiste - dice - una questione di affidabilità, ma non certo di sicurezza. Ad assicurare quella ci sono le ispezioni dell'organo di controllo ministeriale, l'Ustif, ma prima ancora il nostro senso di responsabilità».
«Il personale di bordo è preoccupato non per la sicurezza dei treni, ma per l'incolumità personale: i disservizi espongono macchinisti e capotreno alla rabbia della gente, com'è successo pochi giorni fa», osserva l'ingegner Giuseppe De Michele, responsabile di esercizio. «Vero, ricondizioniamo alcuni pezzi, ma sempre rispettando ogni norma di sicurezza. Sia chiaro: aggiustiamo, non arrangiamo», precisa Sicolo, mostrando un'elettrovalvola costruita la bellezza di 43 anni fa e che adesso luccica come se fosse nuova. Questo zelo non basta a rimettere sui binari quei 96 treni che ridarebbero ossigeno al trasporto regionale su ferro. «Speriamo in una rapida approvazione del piano industriale quinquennale del commissario ad acta Voci, che prevede il pareggio di bilancio entro il 2015. Nelle more, noi di fatto lo stiamo già applicando con un'attenta politica di rigore», risponde Casizzone. Condannati all'attesa come i loro utenti sfiniti e i loro convogli fermi senza ricambi, all'Eav sanno bene che stavolta si decide il futuro. Il risanamento è un treno che potrebbe non passare più.

1 commento:

  1. Come dicevano i vecchi antichi...
    Acquaiuò, l'acqua è fresca? ... manco 'a neve!

    Chi si apetta in risposta una verità spassionata deve porre la domanda a qualcuno che non sia direttamente coinvolto nella questione. Altrimenti, se ne va del suo buon nome o del lavoro che svolge, chi risponde lo fa in difesa dei suoi interessi. Per un parere accettabile si consiglia di rivolgersi a un terzo che giudichi con occhio impraziale e quindi attendibile, in modo da non ritrovarsi in un botta e risposta del tipo acquaiuò, l'acqua è fresca?... Manco ...'a neve! Questo "dialogo" è detto che è più uno sfottò rivolto a chi non è credibile nelle sue dichiarazioni perchè sono palesemente influenzate dal tornaconto personale. Chiedendo all'acquaiolo se la sua acqua è fresca non ci si può aspettare una risposta meno che affermativa, qui rappresenta dall'esagerazione "neanche la neve è così". Significato: inutile chiedere al mercante com'è la sua merce che vende perchè cercherà in tutti i modi di valorizzarla al massimo. Significato esteso: non aspettarsi informazioni veritiere da chi non ha interesse a darle perchè potrebbero danneggiarlo.ciao giona mimmonappi

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