Contro l’ideologia
delle privatizzazioni
di
Pierfranco Pellizzetti
Ci risiamo:
la mamma dei liberisti credere-obbedire-combattere è sempre incinta. Mentre sul Corriere
della Sera il ben noto diacono mercatista Francesco Giavazzi scarica tutto il
suo risentimento contro il governo, pur guidato dal collega bocconiano Mario
Monti, in quanto – ad oggi – non apparirebbe sufficientemente
ortodosso nelle sue pratiche di fede rivolte al dio-Mercato, venerdì scorso gli
dava controcanto su Repubblica il chierichetto Alessandro De Nicola agitando il
turibolo delle privatizzazioni (“Troppi freni alle privatizzazioni, ma
le vendite di Stato frutterebbero 600 miliardi”).
L’effetto
sarebbe sostanzialmente ridicolo se solo queste manifestazioni
fondamentalistiche si riducessero a reperti di un argomentario vintage. Il
grosso guaio – invece – è che risultano concreti ed inquietanti
segnali della persistenza di un pensiero mainstream che condiziona in larga
misura il dibattito pubblico; che inocula modelli di rappresentazione arcaici,
tipo la rappresentazione paranoide dello Stato quale “Leviatano” (il mostro antropofago descritto da
Hobbes qualcosa come mezzo millennio fa). E neppure intacca tale cieca credenza
in siffatti dogmi la considerazione che quello Stato tanto esecrato come
liberticida, per buona parte del Novecento, è risultato il primo promotore di
cittadinanza inclusiva attraverso le strategie di welfare; che ha consentito
straordinari processi di sviluppo materiale mediante le politiche industriali;
che ha temperato e controllato grazie alle pratiche regolative/amministrative
le pulsioni degli spiriti animali capitalistici; che ha stabilizzato i conflitti
sociali canalizzandoli in forme saggiamente compromissorie tra borghesie
finanziario-industriali e classi lavoratrici organizzate (il cosiddetto “patto
keynesiano-fordista”).
Soprattutto,
questi fanatici mercatisti/liberisti neppure sono sfiorati dal dubbio che – semmai – “il nuovo
Leviatano” in questa fase storica va
incarnandosi nella finanza ombra turbocapitalista, svincolata a partire dall’ultimo
quarto del secolo scorso da ogni forma di controllo attraverso la
globalizzazione dei flussi del denaro (e che, così facendo, egemonizza la politica in
combutta con il Potere Mediatico oligopolistico).
Difatti,
incurante delle dure repliche della cronaca di questi tempi, il De Nicola
arriva a fornire la lista della spesa per le privatizzazioni prossime future:
Fincantieri, Poligrafico, Rai, Cinecittà, Poste, Grandi Stazioni e Trenitalia,
Cassa Depositi e Prestiti… e via andando.
La solita tiritera, da quando l’ineffabile
Margaret Thatcher riportò in auge quella che lo storico Tony
Judt bolla come “illusione modernista”
(“l’idealizzazione
del mercato, e la relativa convinzione che in teoria tutto è
possibile, con le forze del mercato che determinano le varie possibilità”),
presto tradotta nella svendita di tutto quanto era possibile esitare; compresa
British Rail (la catastrofica privatizzazione delle ferrovie inglesi, vanto del
primo ministro John Major) e poi culminata in una serie ininterrotta di
disastri annunciati all’insegna dell’efficientamento (che,
tradotto in altre parole, significa licenziamento di personale esperto e
mancata manutenzione, per spremere al meglio l’infrastruttura
e fare cassa).
Solo l’inchiesta dell’ottobre
2000, dopo il deragliamento di un treno presso Harfield causato dal logorio dei
binari, portò
alla luce le negligenze criminali prodotte dall’idea che il profitto ad ogni costo
sarebbe l’unico
metro di misura dell’apprezzabilità
sociale. Tesi – del resto –
fatta propria da una Sinistra della Terza Via voltagabbana, che elesse a
proprio eroe e modello quel Tony Blair di cui stiamo scoprendo l’incredibile
cinismo (come dei suoi epigoni, pure italioti).
Ma se la
chiave interpretativa rappresentata dal “cinismo” funziona per i misfatti degli
affaristi che si sono appropriati di pezzi della ricchezza pubblica messa all’incanto e
dei loro reggicoda politici facilitatori dell’operazione, questo probabilmente non
vale per i propagandisti che inzuppano quotidianamente la carta di giornali e
libri con l’ideologia mistificatoria delle “Mani
invisibili salvifiche”. In quanto non sono altro che fanatici
incapaci di guardare in faccia la realtà, anche dalle nostre parti: le
autostrade trasformate dal Gruppo Benetton in un bancomat personale a danno
degli utenti, le tariffe della telefonia mobile liberalizzata più cara d’Europa, le
municipalizzate privatizzate che abbassano sistematicamente la qualità del
servizio… Per non parlare dei maneggi collusivi
fioriti all’ombra delle sedicenti “operazioni
di mercato”. Come dimostrano i traffici di
scambio tra l’allora presidente di Provincia Milano
Alessandro Penati e il Gruppo Gavio (il sovrapprezzo pagato con il pubblico
denaro per le azioni della Serravalle-Milano devoluto all’acquisto di
azioni della Banca Nazionale del Lavoro a supporto della scalata di Unipol).
“Appropriazione per spoliazione”, la definisce
David Harvey.
Nient’altro che
effetti arciperversi celebrati facendo ricorso a un vecchiume ideologico, che
contrabbanda sotto le insegne della Libertà nuove forme di dominio. Quando le
attuali frontiere della Libertà impongono di mettere da parte arnesi
arrugginiti – quali sono tanto lo Stato gestore
(caro a una Sinistra “rosso antico” fastidiosamente querula e retrò) quanto la
sua sorella germana chiamata “deregulation” (amata dai presunti aggiornati finiti
fuori tempo massimo) – per affrontare il tema sempre più urgente
del governo democratico dell’economia.
Sarebbe
bene farlo sapere ai De Nicola.
(21 gennaio
2012)
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