BREVI, FLASH, ANNUNCI.....

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1 gennaio 2014

MILENA FOR PRESIDENT !


A fine anno, nella vita come in tv, si replica. Il Capo dello Stato fa il suo discorso, quello del Governo ricicla le dichiarazioni di 6 mesi fa in occasione del decreto del fare, con l’enfasi di un brindisi: «Faremo». Vorremmo un governo che a fine anno dica «abbiamo fatto» senza dover essere smentito. Il Ministro Lupi fa l’elenco della spesa: 10 miliardi per i cantieri, «saranno realizzate cose come piazze, tutto ciò di cui c’è un bisogno primario». C’è un bisogno primario di piazze e di rotatorie? «Trecentoventi milioni per la Salerno-Reggio Calabria». Ancora fondi per la Salerno Reggio-Calabria? Fondi per l’allacciamento wi-fi. Ma non erano già nel piano dell’Agenda Digitale?
E poi la notizia numero uno: «Le tasse sono diminuite». Vorrei sapere dal premier Letta per chi sono diminuite, perché le mie sono aumentate, e anche quelle di tutte le persone che conosco o che a me si rivolgono. È aumentata la bolletta elettrica, l’Iva, l’Irpef, la Tares. L’acconto da versare a fine anno è arrivato al 102% delle imposte pagate nel 2012, quando nel 2013 tutti hanno guadagnato meno rispetto all’anno prima. Certo l’anno prossimo si andrà a credito, ma intanto magari chiudi o licenzi. E tu Stato, quando questi soldi li dovrai restituire dove li trovi? Farai una manovra che andrà a penalizzare qualcuno. I debiti della pubblica amministrazione con le imprese ammontano a 91 miliardi. A giugno il Governo dichiara: «Stanziati 16 miliardi». È un falso, perché quei 16 miliardi sono un prestito fatto da Cassa Depositi e Prestiti agli enti locali. E per rimborsare questo mutuo, i comuni, le province e regioni hanno aumentato le imposte. L’Assessore al Bilancio della Regione Piemonte in un’intervista a Report ha detto: «Per non caricare il pagamento dei debiti sui cittadini, si doveva tagliare sul corpo centrale delle spese del Governo, e se non si raggiungeva la cifra… non so.. vendo la Rai!».


Privatizzare la Rai è un tema ricorrente. Nessun paese europeo pensa di vendersi il servizio pubblico perché è un cardine della democrazia non sacrificabile. In nessun paese europeo però ci sono 25 sedi locali: Potenza, Perugia, Catanzaro, Ancona. In Sicilia ce ne sono addirittura due, a Palermo e a Catania, ma anche in Veneto c’è una sede a Venezia e una a Verona, in Trentino Alto Adige una a Trento e una a Bolzano. La Rai di Genova sta dentro ad un grattacielo di 12 piani…ma ne occupano a malapena 3. A Cagliari invece l’edificio è fatiscente con problemi di incolumità per i dipendenti. Poi ci sono i Centri di Produzione che non producono nulla, come quelli di Palermo e Firenze. A cosa servono 25 sedi? A produrre tre tg regionali al giorno, con prevalenza di servizi sulle sagre, assessori che inaugurano mostre, qualche fatto di cronaca. L’edizione di mezzanotte, che è una ribattuta, costa 4 milioni l’anno solo di personale. Perché non cominciare a razionalizzare? Se informazione locale deve essere, facciamola sul serio, con piccoli nuclei, utilizzando agili collaboratori sul posto in caso di eventi o calamità, e in sinergia con Rai news 24. Non si farà fatica, con tutte le scuole di giornalismo che sfornano ogni anno qualche centinaio di giornalisti! Vogliamo cominciare da lì nel 2014? O ci dobbiamo attendere presidenti di Regione che si imbavagliano davanti a Viale Mazzini per chiedere la testa del direttore di turno che ha avuto la malaugurata idea di fare il suo mestiere? È probabile, visto che la maggior parte di quelle 25 sedi serve a garantire un microfono aperto ai politici locali. Le Regioni moltiplicano per 21 le attività che possono essere fatte da un unico organismo.

Prendiamo un esempio cruciale: il turismo. Ogni regione ha il suo ente, la sua sede, il suo organico, il suo budget, le sue consulenze, e ognuno si fa la sua campagna pubblicitaria. La Basilicata si fa il suo stand per sponsorizzare Metaponto a Shangai. Ognuno pensa a sé, alla sua clientela (non turistica, sia chiaro) da foraggiare. E alla fine l’Italia, all’estero, come offerta turistica, non esiste. Dal mio modesto osservatorio che da 16 anni verifica e approfondisce le ricadute di leggi approvate e decreti mai emanati che mettono in difficoltà cittadini e imprese, mi permetto di fare un elenco di fatti che mi auguro, a fine 2014, vengano definitivamente risolti.

Punto 1. Ridefinizione del concetto di flessibilità. Chi legifera dentro al palazzo forse non conosce il muro contro cui va a sbattere chi vorrebbe dare lavoro, e chi lo cerca. Un datore di lavoro (che sia impresa o libero professionista) se utilizza un collaboratore per più di 1 mese l’anno, lo deve assumere. Essendo troppo oneroso preferisce cambiare spesso collaboratore. Il precario, a sua volta, se offre una prestazione che supera i 5000 euro per lo stesso datore di lavoro, non può fare la prestazione occasionale, ma deve aprire la partita Iva, che pur essendo nel regime dei minimi lo costringe comunque al versamento degli acconti; inoltre deve rivolgersi ad un commercialista per la dichiarazione dei redditi, perché la norma è di tre righe, ma per dirti come interpretare quelle tre righe, ci sono delle circolari ministeriali di 30 pagine, che cambiano continuamente. Il principio di spingere le persone a mettersi in proprio è buono, ma poi le regole vengono rimpinzate di lacci e alla fine la partita Iva diventa poco utilizzabile. Perché non alzare il tetto della «prestazione occasionale» fino a quando il precario non ha definito il proprio percorso professionale? Il mondo del lavoro non è fatto solo da imprese che sfruttano, ma da migliaia di micropossibilità che vengono annientate da una visione che conosce solo la logica del posto fisso. Si dirà: «Ma se non metti dei paletti ci troveremo un mondo di precari a cui nessuno versa i contributi». Allora cominci lo Stato ad interrompere il blocco delle assunzioni e smetta di esternalizzare! Oggi alle scuole servono 11.000 bidelli che costerebbero 300 milioni l’anno. Lo Stato invece preferisce dare questi 300 milioni ad alcune imprese, che ricavano i loro margini abbassando gli stipendi (600 euro al mese) e di conseguenza i contributi. Che pensione avranno questi bidelli? In compenso lo Stato non ha risparmiato nulla…però obbliga un libero professionista o una piccola impresa ad assumere un collaboratore che gli serve solo qualche mese l’anno. Il risultato è un incremento della piaga che si voleva combattere: il lavoro nero.

Punto 2. Giustizia. Mentre aspettiamo di vedere l’annunciata legge che archivia i reati minori (chi falsifica il biglietto dell’autobus si prenderà una multa senza fare 3 gradi di giudizio), occorrerebbe cancellare i processi agli irreperibili. Oggi chi è beccato a vendere borse false per strada viene denunciato; però l’immigrato spesso non ha fissa dimora, e diventa impossibile notificare gli atti, ma il processo va avanti lo stesso, con l’avvocato d’ufficio, pagato dallo Stato, il quale ha tutto l’interesse a ricorrere in caso di condanna. Una macchina costosissima che riguarda circa il 30% delle sentenze dei tribunali monocratici, per condannare un soggetto che «non c’è». Se poi un giorno lo trovi, poiché la legge europea prevede il suo diritto a difendersi, si ricomincia da capo. Perché non fare come fan tutti, ovvero sospendere il processo fino a quando non trovi l’irreperibile? Siamo anche l’unico paese al mondo ad aver introdotto il reato di clandestinità: una volta accertato che tizio è clandestino, anziché imbarcarlo subito su una nave verso il suo paese, prima gli facciamo il processo e poi lo espelliamo. Una presa in giro utile a far credere alla popolazione, che paga il conto, che «noi ce l’abbiamo duro».

Punto 3. L’autorità che vigila sui mercati e sul risparmio. Dal 15 dicembre, scaduto il mandato del commissario Pezzinga, la Consob è composta da soli due componenti. La nomina del terzo commissario compete al Presidente del Consiglio sentito il Ministro dell’Economia ed avviene con decreto del Presidente della Repubblica. Nella migliore delle ipotesi ci vorranno un paio di mesi di burocrazia una volta che si sono messi d’accordo sul nome. Ad oggi l’iter non è ancora stato avviato e l’Autorità non assolve il suo ruolo indipendente proprio quando si deve occupare di dossier strategici per il futuro economico-finanziario del Paese come MPS, Unipol-Fonsai e Telecom. Di fatto Vegas può decidere come vigilare sui mercati finanziari e sul risparmio, direttamente da casa, magari dopo essersi consultato con Tremonti (che lo aveva a suo tempo indicato), visto che il voto del Presidente vale doppio in caso di parità, e i Commissari hanno facoltà di astensione. Perché il Governo non si è posto il problema qualche mese fa, e perché non si è ancora fatto carico di una nomina autorevole, indipendente e in grado di riportare al rispetto delle regole?

Punto 4. Ilva. È alla firma del Capo dello Stato il decreto «terra dei fuochi», dentro ci hanno messo un articolo che autorizza l’ottantenne Commissario Bondi a farsi dare i circa 2 miliardi dei Riva sequestrati dalla procura di Milano. Ottimo! Peccato che non sia specificato che quei soldi devono essere investiti nella bonifica. Inoltre Bondi è inadempiente, ma il decreto gli da una proroga di altri 3 anni, e se poi non sarà riuscito a risanare, non è prevista nessuna sanzione. Nel frattempo che ne è del diritto non prorogabile della popolazione a non respirare diossina? Ovunque, di fronte ad un disastro ambientale, si sequestra, si bonifica e i responsabili pagano. Per il nostro governo si può morire ancora un po’.

Come contribuente e come cittadina non mi interessa un governo di giovani quarantenni. Pretendo di essere governata da persone competenti e responsabili, che blaterino meno e ci tirino fuori dai guai. Pretendo che l’età della pensione valga per tutti, che il rinnovo degli incarichi operativi non sia più uno orrendo scambio di poltrone fra la solita compagnia di giro. Pretendo di essere governata da una classe politica che non insegna ai nostri figli che impegnarsi a dare il meglio è inutile.  

31 dicembre 2013

Milena Gabanelli

41 commenti:




  1. (Satira in versi per raccontare l'anno che verrà di Michele Serra)

    GENNAIO 2014

    NAPOLITANO
    sgrida chi alza la voce
    chi alle riforme nuoce
    chi veste in modo strano
    chi beve il cappuccino
    chi tiene i piedi sul cuscino
    chi non saluta bene
    chi gioca coi fiammiferi
    chi mangia troppo agliato
    chi accende i caloriferi
    nei giorni che è vietato
    chi si presenta senza
    i pantaloni in piega
    e questa sua indecenza
    nemmeno te la spiega

    --------------------------------

    I rottamatori dell’articolo 18
    —di Norma Rangeri -



    Ai tempi del governo Monti, nel momento di mag­gior pole­mica sull’articolo 18 dello sta­tuto dei lavo­ra­tori, fu il pre­si­dente degli indu­striali Gior­gio Squinzi a get­tare acqua sul fuoco («la licen­zia­bi­lità dei dipen­denti è l’ultimo dei nostri pro­blemi»). Oggi, invece, con balzo felino, Squinzi sale sul carro di Renzi, il poli­tico ten­tato da una revi­sione dell’articolo 18, peral­tro modi­fi­cato pro­prio dal tan­dem Monti-Fornero. Così l’appello di Lan­dini a Renzi («Fai una cosa intel­li­gente, ripri­stina l’articolo 18»)sem­bra desti­nato a rima­nere inascoltato.
    Sul carro ren­ziano è da sem­pre ben piaz­zato Oscar Fari­netti, un cam­pione del made in Italy ali­men­tare. Inter­vi­stato dal Fatto, l’imprenditore che ogni sera offre le sue ricette da tutti i talk-show tele­vi­sivi, ha chia­rito il suo pen­siero. Secondo lui la tutela dal licen­zia­mento ille­git­timo andrebbe abo­lita per­ché in realtà l’articolo 18 è solo un grande scudo die­tro il quale si ammassa l’esercito dei fan­nul­loni: «Il lavoro garan­tito per chi non ha voglia di lavo­rare è un delitto».
    E i sin­da­cati? «Sono un impe­di­mento di sicuro». Basta e avanza, e non c’è nep­pure biso­gno di aprire l’imbarazzante capi­tolo delle per­qui­si­zioni cor­po­rali subite dai suoi dipen­denti per veri­fi­care che, a fine turno, non si met­tano in tasca qual­che fet­tina di prosciutto.Natu­ral­mente la cop­pia Renzi-Farinetti non è la prima e non sarà l’ultima che mal sop­porta il sin­da­cato, che pre­fe­ri­rebbe avere mano libera sui licen­zia­menti, che mette sullo stesso piano padrone e ope­raio, che rac­conta la favola del merito, come fos­simo tutti uguali, tutti impren­di­tori di noi stessi. Il libe­ri­smo come la falsa coscienza sono la merce che oggi vende di più. Basta non esa­ge­rare pre­ten­dendo pure di essere con­si­de­rati lea­der (o impren­di­tori) di sinistra.

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  2. Capodanno: Napoli, la speranza non è solo una parola
    di Arnaldo Capezzuto
    1 gennaio 2014


    Emozioni. Frastuono.Colori. Musica.Ammuina.
    A Napoli è così,da sempre.E’ stata una festa di popolo. Un rito collettivo per esorcizzare l’annus Horribilis.
    E’ stato un Capodanno di liberazione.Cacciare a pedate il 2013.

    Dodici lunghi mesi che hanno stretto un cappio alla gola di una città, un tempo capitale e per molti ancora e sempre capitale. E’ stato un bagno di folla. Una fiumana variopinta. Dal Lungomare al Centro storico, da piazza Vittoria al Borgo Marinaro.Lo spettacolo è stato mozzafiato.E’ la città delle infinite contraddizioni e incoerenze che ha la dote di riscaldare i cuori.E’ massa critica dove passato, presente e futuro, almeno una volta all'anno,vanno a braccetto. Sono contaminazioni.Somme algebriche.
    Sono somme vettoriale che negano le stesse leggi della fisica.Sei immerso nella moltitudine ma riesci a ritagliarti uno spazio e isolarti. Strofini gli occhi. Il naso all'insù. Il cielo si tinge di scie colorate. E’ il mistero e il fascino dei giochi pirotecnici. Sembra proprio la tavolozza di un pittore distratto. Le tinte si mescolano casualmente. Nel buio sopra Castel dell’Ovo a pochi passi da via Partenope si apre una pioggia di sfavillanti chiarori, arrivano a metà cielo e nel ricadere incontrano i riflessi di una luna in attesa. E’ polvere d’incantesimo. E’ un colpo d’occhio che fa strabuzzare gli occhi. Un caleidoscopio fantastico che stordisce. Ogni mondo è paese. E’ vero.

    Però Napoli è Napoli. Alla Rotonda Diaz sembra di vedere le anime del Pugatorio, quelle anime pezzentelle fuggite vie dal girone infernale. Salgono in cielo duemila lanterne. Il vento come un implacabile destino le porta per rotte incontrollate come la migrazione delle rondini. E’ una Napoli bella, irresistibile, affascinante, seducente. Il 31 dicembre è solo un pretesto per mostrarsi all'innamorato. Mentre si fa la baldoria di routine con i palchi, le torri, le aree per il ballo ci trovi gli immancabili ambulanti del merchandising della napolitudine.
    Ti offrono ogni tipo di cose. Tutti rigorosamente abusivi. E’ una città che vibra, palpita, sogna. E’ fantasia e furbizia. Sembra il solito affresco. La nota concatenazione di luoghi comuni e cliché. E invece è Napoli. La città più giovane d’Europa. Una metropoli in controtendenza dove turisti di tutto il mondo per far dispetto alle ciucciuvettole nostrane l’hanno presa letteralmente d’assalto. Napoli anarchica, pazza, squagliata, paracula ma coraggiosa e verace. Cinquecentomila persone perse tra piazza del Plebiscito e via Partenope in attesa della mezzanotte e del nuovo anno fissano uno schermo. Con gli occhi lucidi assistono ai video-appelli di artisti, intellettuali e sportivi partenopei. Parole d’incoraggiamento e di amore per la città. A Napoli la speranza non è morta e la nottata per farla passare non occorre aspettare ma darsi da fare. Auguri dal paradiso abitato dai diavoli.



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  3. LA FIAT SI PRENDE CHRYSLER,MA CHIUDE IN ITALIA
    02/01/2014
    Dopo giorni di indiscrezioni confermata l'intesa con Veba: il fondo cederà il restante 41,5% della casa automobilistica di Detroit per 3,6 miliardi di dollari, meno dei 5 chiesti inizialmente.
    Marchionne: «Intesa che rimarrà nei libri di storia». Elkann: «Aspetto questo giorno dal 2009». Ma adesso arriveranno gli annunciati investimenti in Italia?

    03/01/2014
    E' tutto un coro di festeggiamenti quello che accoglie la notizia dell'acquisizione (con pochissima spesa) della Chrysler da parte di Fiat. Il "colpo", dal punto di vista finanziario è eccellente, e di questa abilità Marchionne aveva dato già in passato ottima prova. Peccato che in Italia le cose vadano in tutt'altro modo. Ai duemila operai della fabbrica di Termini Imerese chiusa due anni fa sono state propinate soltanto promesse bugiarde ed ora ad essi non resta che protestare la propria rabbia davanti a quei gusci vuoti su cui avevano un tempo costruito le proprie vite e le proprie speranze. Le tute blu dell'ex indotto hanno ricevuto le lettere di licenziamento; quelle di Ansaldo Breda di Carini la comunicazione della cassa integrazione per 13 settimane. Da ieri non hanno più un posto di lavoro i 174 dipendenti della Lear e della Clerprem, aziende che ruotavano attorno all'impianto di Termini. La verità è che, in Italia, la Fiat ha fatto dei siti su cui era insediata un deserto di aree industriali dismesse, dal Piemonte alla Sicilia, passando per il Lazio e la Campania (remember Irisbus). A Cassino, a Mirafiori, a Melfi è un diluvio di ore di cassa integrazione, mentre il futuro produttivo di quegli stabilimenti continua ad essere avvolto nel mistero. Forse nessuna vicenda, come questa, incarna la decadenza industriale del nostro Paese e il naufragio politico della sua classe dirigente.
    (di Dino Greco)



    L'inizio del 2014 ci riporta al Marchionne:lo splendido esemplare indigeno dei SUPERMANAGER…..(Scrivevo)Il maschio ruspante è l’inventore del Management all’ultimo sangue…
    Ha smantellato la FIAT facendone un’azienda con la testa a Detroit e il resto del corpo,che serve a lavorare,nel Terzo Mondo…Non vuole andarsene dall'Italia,purché diventi come il Terzo Mondo…E’ il più lucido teorico del libero mercato,non è colpa sua se non hai i soldi per comprarti niente….Il Piano Fabbrica Italia e i suoi 20 miliardi di investimenti restano il misterioso oggetto del desiderio:tutti ne parlano ma nessuno lo vede…

    (CONTINUA)

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  4. A tal proposito ci torna utile "riavvolgere il nastro e ritornare" alla puntata del 27 marzo del 2013 di REPORT...
    REPORT segue un doppio percorso:da una parte c'è il tracciato che porterà la FIAT alla fusione con Chrysler e dall'altra l'inchiesta si sofferma sulle promesse annunciate in Italia: i 2 miliardi di investimenti (sui 20 totali) per Mirafiori che produrrà Suv.
    Ma in cambio di sacrifici concreti richiesti ai lavoratori,non ci sarebbe una contropartita altrettanto concreta di impegni scritti.Il piano è vuoto:solo parole...
    «Ma chi obbliga Marchionne a mantenere le promesse?» , si chiede la Gabanelli???
    Forse dovrebbe esserci la vigilanza della politica che fa gli interessi del Paese? Già. Parte un flash dall'audizione in Parlamento di Marchionne:si vede e si sente un preoccupatissimo Sandro Biasotti (Pdl e concessionario Fiat) intervenire e contestare al manager Fiat l'apertura di nuove concessionarie.Sacrifici ad esempio. Le nuove condizioni di lavoro sono già state firmate in due stabilimenti, quelli dei referendum: Pomigliano e Mirafiori. Marchionne però dice che non è sufficiente perché ci sono «altri tre stabilimenti: Cassino, Melfi e Bertone».
    L'inviata di «Report» stuzzica il manager, residente in svizzera («da sempre a Zug» ), sulle tasse. Zugo è il cantone con la fiscalità più leggera. «Pago le tasse in Italia e poi pago la differenza in Svizzera» , dice Marchionne. Il tributarista Tomaso Di Tanno spiega però che la ritenuta dello «svizzero» Marchionne è del 30%sui compensi italiani e poi non dovrebbe pagare più nulla.

    Un guadagno secco, secondo Report, del 13%rispetto all'aliquota standard del 43%, cioè circa 500mila euro sui 4 milioni di stipendio. Tutto in regola, ma visto che l'attività del top manager Fiat - riassume la Gabanelli - non è in Svizzera, ma a Torino e Detroit, «allora trasferisca la sua residenza in Italia o negli Usa e contribuisca come i suoi dipendenti allo sviluppo del Paese dove sta l'azienda che gli paga lo stipendio».
    Resta un punto: dove prende Marchionne i 20 miliardi per gli investimenti in Italia? «Vengono prodotti quando vendo le vetture» ,lui dice.

    FONTE:(Continua a leggere su: http://qn.quotidiano.net/economia/2011/03/28/481258-marchionne_report.shtml#ixzz2pLU6zlw6)

    MORALE:MARCHIONNE,pratica la scienza misteriosa dell’esoterismo:il cazzeggio perpetuo…..E con il cazzeggio perpetuo è riuscito a fottere i diritti dei lavoratori…L’impostore ha brevettato il suo modello sociale su vasta scala…...

    Vi dice niente:l'accordo sull'armonizzazione delle retribuzioni?Ma si,il taglio del nostro salario,quantificato da una fonte sindacale(SEGRETARIA DELLA CISL) all'incirca sui 500 euro....
    Qualcuno ricorda ancora il nostro fumoso Piano Industriale....
    Da 4 anni,tutti ne parlano,ma nessuno l'ha mai visto......
    Appunto:come l'araba fenice....
    "Che ci sia ognun lo dice,dove sia nessun lo sa...."

    RispondiElimina

  5. A tal proposito ci torna utile "riavvolgere il nastro e ritornare" alla puntata del 27 marzo del 2013 di REPORT...
    REPORT segue un doppio percorso:da una parte c'è il tracciato che porterà la FIAT alla fusione con Chrysler e dall'altra l'inchiesta si sofferma sulle promesse annunciate in Italia: i 2 miliardi di investimenti (sui 20 totali) per Mirafiori che produrrà Suv.
    Ma in cambio di sacrifici concreti richiesti ai lavoratori,non ci sarebbe una contropartita altrettanto concreta di impegni scritti.Il piano è vuoto:solo parole...
    «Ma chi obbliga Marchionne a mantenere le promesse?» , si chiede la Gabanelli???
    Forse dovrebbe esserci la vigilanza della politica che fa gli interessi del Paese? Già. Parte un flash dall'audizione in Parlamento di Marchionne:si vede e si sente un preoccupatissimo Sandro Biasotti (Pdl e concessionario Fiat) intervenire e contestare al manager Fiat l'apertura di nuove concessionarie.Sacrifici ad esempio. Le nuove condizioni di lavoro sono già state firmate in due stabilimenti, quelli dei referendum: Pomigliano e Mirafiori. Marchionne però dice che non è sufficiente perché ci sono «altri tre stabilimenti: Cassino, Melfi e Bertone».

    L'inviata di «Report» stuzzica il manager, residente in svizzera («da sempre a Zug» ), sulle tasse. Zugo è il cantone con la fiscalità più leggera. «Pago le tasse in Italia e poi pago la differenza in Svizzera» , dice Marchionne.
    Il tributarista Tomaso Di Tanno spiega però che la ritenuta dello «svizzero» Marchionne è del 30%sui compensi italiani e poi non dovrebbe pagare più nulla.

    Un guadagno secco, secondo Report, del 13% rispetto all'aliquota standard del 43%, cioè circa 500 mila euro sui 4 milioni di stipendio. Tutto in regola, ma visto che l'attività del top manager Fiat - riassume la Gabanelli - non è in Svizzera, ma a Torino e Detroit, «allora trasferisca la sua residenza in Italia o negli Usa e contribuisca come i suoi dipendenti allo sviluppo del Paese dove sta l'azienda che gli paga lo stipendio».

    Resta un punto: dove prende Marchionne i 20 miliardi per gli investimenti in Italia?
    «Vengono prodotti quando vendo le vetture» ,lui dice.

    FONTE:(Continua a leggere su: http://qn.quotidiano.net/economia/2011/03/28/481258-marchionne_report.shtml#ixzz2pLU6zlw6)

    Conclusioni

    MARCHIONNE,pratica la scienza misteriosa dell’esoterismo:il cazzeggio perpetuo…..E con il cazzeggio perpetuo è riuscito a fottere i diritti dei lavoratori…L’impostore ha brevettato il suo modello sociale su vasta scala…...

    Vi dice niente:l'accordo sull'armonizzazione delle retribuzioni?
    Ma si,il taglio del nostro salario,quantificato da una fonte sindacale(LA SEGRETARIA DELLA CISL)sui 500 euro....
    Qualcuno ricorda il nostro fumoso Piano Industriale.???
    Da 4 anni,tutti ne parlano,ma nessuno l'ha mai visto......

    Appunto:come l'araba fenice....

    "Che ci sia ognun lo dice,dove sia nessun lo sa...."

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  6. il postino di baskervillelunedì, 06 gennaio, 2014


    Politici e buoni propositi: Parole,Parole, Parole
    di Antonio Padellaro | 5 gennaio 2014

    C’è un articolo che meriterebbe di essere incorniciato e posto sulla scrivania di Enrico Letta a Palazzo Chigi e poi riprodotto e distribuito a ministri, viceministri, sottosegretari, vassalli, valvassori e valvassini a imperitura memoria. Lo ha scritto Milena Gabanelli sul Corriere della Sera del 31 dicembre 2013 e ha come titolo: “Tutto quello che non ha fatto la politica del Noi Faremo’”.

    L’incipit è sublime: “A fine anno, nella vita come in televisione si replica. Il capo dello Stato fa il suo discorso, quello del governo ricicla le dichiarazioni di sei mesi in occasione del decreto del fare, con l’enfasi di un brindisi: ‘Faremo’.
    Vorremmo un governo che a fine anno dica ‘abbiamo fatto’ senza dover essere smentito”. Seguono quattro capitoletti (ben argomentati come nello stile della conduttrice di Report) sul peso delle tasse, sulla giustizia lenta, sulle difficoltà di imprese e lavoratori, sui tagli della RAI. Quattro marmorei monumenti all'inettitudine che si ammanta di virtù.

    Su un punto però, cara Milena, mi trovo in disaccordo, là dove scrivi: “Come contribuente e come cittadina non m’interessa un governo di giovani quarantenni. Pretendo di essere governata da persone competenti e responsabili, che blaterino meno e ci tirino fuori dai guai”.

    Stai scherzando? Vuoi la loro rovina? Nel blaterare o se vogliamo nella produzione incessante di promesse su mirabolanti piani,programmi, progetti,meritori propositi e solenni impegni (per non dire dei moniti e delle severe esortazioni) che naturalmente resteranno lettera morta, costoro trovano l’essenza stessa del loro essere, la ragione prima delle loro carriere e forse anche della loro esistenza in vita.Perciò l’impulso vitale che li distingue consiste nella ricerca spasmodica di un taccuino o meglio ancora di una telecamera a cui distillare cotanto nettare.Eh sì, agili e smemorati balzano da una balla all'altra come cercopitechi nella giungla.
    Esistono,è vero,rari esemplari seri e responsabili ma nulla contano e infatti non li vedremo mai in televisione.

    L’ultima trovata di questo circo degli illusionisti sono le unioni civili riesumate da Matteo Renzi dal secolo scorso e che immancabilmente suscitano sdegnate proteste, in nome dei valori della famiglia, di quei politici che non a caso di famiglie spesso ne hanno due o tre.

    Viviamo in un Paese che non riconosce le coppie di fatto,che mette al bando i matrimoni gay, che limita la fecondazione assistita, che permette l’adozione solo ai coniugi dal sacro vincolo del matrimonio, che considera i single persone di serie B, che osteggia il testamento biologico e che tratta gli immigrati come bestie.
    Sul piano dei diritti civili siamo al livello della Spagna franchista o giù di lì. Siamo la vergogna dell’Europa civile.

    Vedrai, cara Milena, che tra qualche giorno anche le unioni di fatto ritorneranno mestamente nel cassetto sostituite da qualche altra trovata truffaldina.

    Parole, parole, parole. Non è la canzone di Mina ma Shakespeare, Amleto, atto II.Una tragedia.

    Il Fatto Quotidiano, 5 gennaio 2014

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  7. il postino di baskervillelunedì, 06 gennaio, 2014


    (Continua dal commento 3)

    A tal proposito ci torna utile "riavvolgere il nastro e ritornare" alla puntata del 27 marzo del 2013 di REPORT...
    REPORT segue un doppio percorso:da una parte c'è il tracciato che porterà la FIAT alla fusione con Chrysler e dall'altra l'inchiesta si sofferma sulle promesse annunciate in Italia: i 2 miliardi di investimenti (sui 20 totali) per Mirafiori che produrrà SUV.
    Ma in cambio di sacrifici concreti richiesti ai lavoratori,non ci sarebbe una contropartita altrettanto concreta di impegni scritti.Il piano è vuoto:solo parole...
    «Ma chi obbliga Marchionne a mantenere le promesse?» , si chiede la Gabanelli???

    Forse dovrebbe esserci la vigilanza della politica che fa gli interessi del Paese?Già.

    Parte un flash dall'audizione in Parlamento di Marchionne:si vede e si sente un preoccupatissimo Sandro Biasotti (Pdl e concessionario Fiat) intervenire e contestare al manager Fiat l'apertura di nuove concessionarie.
    I sacrifici ad esempio.
    Le nuove condizioni di lavoro sono già state firmate in due stabilimenti, quelli dei referendum: Pomigliano e Mirafiori.Marchionne però dice che non è sufficiente perché ci sono «altri tre stabilimenti: Cassino, Melfi e Bertone».

    L'inviata di «Report» stuzzica il manager, residente in svizzera («da sempre a Zug» ),sulle tasse. Zugo è il cantone con la fiscalità più leggera.
    «Pago le tasse in Italia e poi pago la differenza in Svizzera» , dice Marchionne.
    Il tributarista Tomaso Di Tanno spiega però che la ritenuta dello «svizzero» Marchionne è del 30% sui compensi italiani e poi non dovrebbe pagare più nulla.

    Un guadagno secco, secondo Report, del 13% rispetto all'aliquota standard del 43%, cioè circa 500 mila euro sui 4 milioni di stipendio.
    Tutto in regola, ma visto che l'attività del top manager Fiat - riassume la Gabanelli - non è in Svizzera, ma a Torino e Detroit, «allora trasferisca la sua residenza in Italia o negli Usa e contribuisca come i suoi dipendenti allo sviluppo del Paese dove sta l'azienda che gli paga lo stipendio».

    Resta infine un punto: dove prende Marchionne i 20 miliardi per gli investimenti in Italia?
    «Vengono prodotti quando vendo le vetture»,dice proprio così.

    FONTE:(Continua a leggere su: http://qn.quotidiano.net/economia/2011/03/28/481258-marchionne_report.shtml#ixzz2pLU6zlw6)

    Conclusioni
    MARCHIONNE,pratica la scienza misteriosa dell’esoterismo:il cazzeggio perpetuo…..E con il cazzeggio perpetuo è riuscito a fottere i diritti dei lavoratori…L’impostore ha brevettato il suo modello sociale su vasta scala…...

    Vi dice niente:l'accordo sull'armonizzazione delle retribuzioni?Ma si,il taglio del nostro salario...
    Un taglio quantificato da una fonte sindacale(LA SEGRETARIA DELLA CISL) all'incirca sui 500 euro....
    Qualcuno ricorda ancora quel nostro fumoso Piano Industriale???
    Da 4 anni,tutti ne parlano,ma nessuno l'ha mai visto......
    Appunto:come l'araba fenice....

    "Che ci sia ognun lo dice,dove sia nessun lo sa...."

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  8. il postino di baskervillemercoledì, 08 gennaio, 2014


    I nénéné

    Poveri piccoli Neet.
    È, al solito, un bruttissimo acronimo inglese che sta per "Not engaged in Education, in Employment or Training" e che tradotto sta per "Non a scuola, non al lavoro, non a corsi di formazione professionale".
    Cioè NéNéNé, un bel Niente.
    E cioè, chi sono costoro, fannulloni nati, perdigiorno impenitenti, scrocconi a vita, o peggio ancora vituperati bamboccioni? Macché, tranquillizzatevi.
    Sono solo quei giovani tipicamente italiani che l'Istat ha testé elencato (dati dell'ultimo trimestre 2013) nel gruppetto di coloro - tra i 15 e i 35 anni - che sono «costretti» a spassarsela senza arte né parte. Che sono «costretti» da misteriose forze maggiori a non lavorare, a non studiare, a non prepararsi ad alcunché, insomma lasciati fuori, out (acronimo inglese?). Fuori, cioè tradotto significa esclusi, senza possibilità o opportunità, lasciati lì, non contemplati né dal fiscal compact né dalla spending review né dalla legge di stabilità, né dai dieci o venticinque punti dell'ultimo Letta programma. Insomma zero.
    Un gruppetto insignificante, dopo tutto, appena 4 milioni o giù di lì di under 35. (sempre dati Istat), aumentati - che volete che sia - di 300 mila rispetto al 2012 e dei quali, ovviamente, 2 milioni secchi giacciono al Sud. Inoltre, cifre per cifre, si deve pur aggiungere che questo italico esercito di forzati nullafacenti è il più robusto d'Europa - il 27,4% contro il 17,5 dell'area Ue - orgogliosamente piazzato soltanto dietro una Grecia e una Bulgaria. In pratica con un giovane italiano su quattro che vi si trova arruolato senza se e senza ma. Marmittoni e bamboccioni coscritti. Quattro milioni di neet e solo poco più di un milione e mezzo a bassa scolarità (fino alla licenza media); e gli altri che sono (inutilmente) dottori o giù di lì: un milione e ottocentomila con tanto di diploma di maturità e 437.000 con tanto di laurea e persino con tanto di titolo post laurea.
    Neet. Avere magari anche 35 anni e dover continuare a restare lì. Imprigionati. Intoccabili. Immobili. Precari. Non futuribili. Fuori...
    Accidenti, NO.

    Maria R. Calderoni

    RispondiElimina

  9. I nénéné

    Poveri piccoli Neet. È, al solito, un bruttissimo acronimo inglese che sta per "Not engaged in Education, in Employment or Training" e che tradotto sta per "Non a scuola, non al lavoro, non a corsi di formazione professionale". Cioè NéNéNé, un bel Niente. E cioè, chi sono costoro, fannulloni nati, perdigiorno impenitenti, scrocconi a vita, o peggio ancora vituperati bamboccioni? Macché, tranquillizzatevi. Sono solo quei giovani tipicamente italiani che l'Istat ha testé elencato (dati dell'ultimo trimestre 2013) nel gruppetto di coloro - tra i 15 e i 35 anni - che sono «costretti» a spassarsela senza arte né parte. Che sono «costretti» da misteriose forze maggiori a non lavorare, a non studiare, a non prepararsi ad alcunché, insomma lasciati fuori, out (acronimo inglese?). Fuori, cioè tradotto significa esclusi, senza possibilità o opportunità, lasciati lì, non contemplati né dal fiscal compact né dalla spending review né dalla legge di stabilità, né dai dieci o venticinque punti dell'ultimo Letta programma. Insomma zero.
    Un gruppetto insignificante, dopo tutto, appena 4 milioni o giù di lì di under 35. (sempre dati Istat), aumentati - che volete che sia - di 300 mila rispetto al 2012 e dei quali, ovviamente, 2 milioni secchi giacciono al Sud. Inoltre, cifre per cifre, si deve pur aggiungere che questo italico esercito di forzati nullafacenti è il più robusto d'Europa - il 27,4% contro il 17,5 dell'area Ue - orgogliosamente piazzato soltanto dietro una Grecia e una Bulgaria. In pratica con un giovane italiano su quattro che vi si trova arruolato senza se e senza ma. Marmittoni e bamboccioni coscritti. Quattro milioni di neet e solo poco più di un milione e mezzo a bassa scolarità (fino alla licenza media); e gli altri che sono (inutilmente) dottori o giù di lì: un milione e ottocentomila con tanto di diploma di maturità e 437.000 con tanto di laurea e persino con tanto di titolo post laurea.
    Neet. Avere magari anche 35 anni e dover continuare a restare lì. Imprigionati. Intoccabili. Immobili. Precari. Non futuribili. Fuori...
    Accidenti, NO.

    Maria R. Calderoni

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  10. Fiscal Compact: dal 2014 - 45 miliardi di euro di tagli all'anno per raggiungere il 60% di indebitamento.
    Ecco cosa prevede il “Fiscal compact” :
    Il governo italiano, ratificando il Fiscal Compact dovrà nei prossimi 20 anni, portare il debito pubblico al 60% del PIL mediante una maxi manovra finanziaria all'anno. Stando ai numeri attuali (in via di peggioramento) che vedono il debito pubblico ammontare a 2080 miliardi di euro, con un rapporto tra debito pubblico e PIL del 132%, i governi che si susseguiranno per rientrare nei parametri richiesti dovranno impegnarsi a recuperare 900 miliardi di euro, che dilazionati nei 20 anni fa 45 miliardi all'anno...
    Praticamente per un ventennio gli italiani dovranno sostenere tutti gli anni una stangata come l’ultima montiana manovra.

    Ricordiamo inoltre che è stato ratificato il Meccanismo Europeo di Stabilità...
    Tale meccanismo potrà esigere qualsiasi cifra e potrebbe aggravare i conti...
    L’Italia (come le altre nazioni) non può essere in grado di rastrellare “dall'oggi al domani” cifre imponenti come quelle che il M.E.S. potrà liberamente esigere, costringendoci a fare ricorso al F.M.I(Fondo Monetario Internazionale) che non vede l’ora di prestare soldi alle nazioni per imporre le proprie condizioni. Fino ad oggi, nonostante i problemi che abbiamo, ci hanno costretto a pagare quasi 50 miliardi di euro per “salvare” le banche altrui, e non c’è motivo per ritenere che gli eurocrati non battano nuovamente cassa.

    In caso di inosservanza l’Italia sarebbe sottoposta a sanzioni, che vanno dall'esclusione dai fondi europei alla sospensione dei prestiti, fino alle sanzioni economiche.

    Dove troveranno i soldi per pagare questo salasso? La pressione fiscale è già a livelli insostenibili,e comunque la leva fiscale non risulterebbe ne idonea e ne sufficiente.......
    Il fiscal compact rappresenterà la devastazione totale dello stato sociale, con probabili, anzi - sicuri -sostanziosi licenziamenti tra gli statali e la svendita del patrimonio pubblico....

    Ogni anno, entro Dicembre, i governi dovranno pagare la salatissima rata. Per racimolare i soldi, saranno costretti a mettere in vendita i beni dello stato, ad iniziare dai pacchetti azionari delle principali aziende sane rimaste (parzialmente) pubbliche: ENI, ENEL, Finmeccanica, Ferrovie dello Stato, Poste Italiane, opere d'arte universali, fino ai beni immobili. Lo stato dovrà vendere in fretta, in vista delle scadenze, e questo sul mercato le rende ricattabili: un po’ come avviene per le case all’asta, che vengono sempre vendute alla 3° seduta (le prime due aste vanno deserte, ed il prezzo cala vertiginosamente) gli acquirenti si presenteranno al cospetto dello Stato in extremis, quando sarà alla “canna del gas” in vista di dover corrispondere il pagamento. E il prezzo lo faranno gli speculatori.

    A questo aggiungiamo il fatto che, visto come funzionano le cose, non ci sorprenderemmo se qualche esponente del governo facesse gli interessi degli acquirenti, piuttosto che dei cittadini, sia la loro natura viscida e servile nel curare degli interessi di "altri" che però non siamo noi semplici cittadini; sia per i classici “scambi di favori”, oltre che per le solite, immancabili, strutturali mazzette.

    Vorrei qui soffermarmi un attimo sulle Ferrovie dello Stato. Negli ultimi decenni abbiamo investito, noi tutti cittadini Italiani - ridotti in mutande da quella masnada di pirati che ci governa - circa 200 miliardi di euro tra ammodernamenti;creazione delle linee ad alta velocità;acquisto treni....
    Ora che dovremmo almeno rientrare nell'investimento iniziale, loro, i pirati servi dei lobbisti dell'oligarchia finanziario/ affaristica, invece svendono. E questo non è giusto.

    I tagli indiscriminati: La svendita del patrimonio pubblico da sola non basterà e saranno necessari tagli lineari e e ancor più feroci a scuola, università, ricerca, sanità, trasporti,lavoro e pensioni. Il così detto welfare così come fin'ora conosciuto non potrà mai più esistere.

    (Fonte.." Resettiamoci Ora")

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  11. Renzi contro Fiscal compact?
    17 gennaio 2014-Il Fatto quotidiano

    Sergio Di Cori Modigliani, ,ha scritto ieri nel suo blog: “Mettiamo da parte la nostra splendida fantasia e calda immaginazione da cartolina stereotipata e cominciamo ad innamorarci della validità dei dati oggettivi, inchiodando gli interlocutori a parlare di quelli.”

    Vediamo dunque un po’ di dati oggettivi.

    Il Fiscal Compact e il Mes (Meccanismo europeo di stabilità) sono stati approvati il 12 luglio 2012 dalla Camera dei Deputati e il 19 luglio 2012 dal Senato della Repubblica. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha promulgato le decisioni di Camera e Senato il 23 luglio 2012.

    In coerenza con il Fiscal Compact, il 17 aprile 2012 veniva introdotto nella nostra Costituzione il principio del pareggio di bilancio.

    Fiscal Compact e Mes costeranno all’Italia decine di miliardi all’anno: ogni calcolo sarebbe approssimativo, visto che i parametri del Mes possono mutare senza che l’Italia abbia voce in capitolo.

    Due giorni fa il Movimento 5 Stelle ha denunciato alla Camera i nomi dei politici responsabili dell’approvazione di Mes,Fiscal Compact e pareggio di bilancio.

    M5S ha contestualmente presentato una mozione per chiedere al governo di rinegoziare Fiscal Compact e Mes: la mozione, anche con i voti del Pd, è stata bocciata.

    Matteo Renzi ha definito obsoleti i parametri del Fiscal Compact, il quale prevede il noto limite del 3% deficit/Pil. Renzi è favorevole a sforare il 3% e Gad Lerner appoggia la sua coraggiosa idea. Tuttavia, il nuovo leader Pd ha scelto per la sua segreteria Pina Picerno, Marianna Madia e Federica Mogherini, tre dei responsabili dell’approvazione di Fiscal Compact e Mes.

    Il giornalista Roberto Sommella scrive un articolo, apparso ieri su Europaquotidiano.it, dal titolo “Cinque idee per un nuovo Fiscal Compact”. Sommella incita Pd e Renzi a cambiare il Fiscal Compact con uno “Europe act”, proprio all’indomani del rifiuto del Pd in Parlamento di aprire una trattativa sui patti economici con l’U.E.

    La stampa ha quasi totalmente ignorato:

    1)La denuncia del Movimento 5 Stelle nei confronti dei responsabili di Mes, Fiscal Compact e principio di pareggio di bilancio in Costituzione.

    2)La mozione M5S che ci avrebbe permesso di andare a rinegoziare i patti presi con l’Ue.

    3)Una delle poche eccezioni è TM news. Il loro titolo è “Dopo i giornalisti M5S mette all’indice parlamentari pro U.E.”.

    E’ un titolo doppiamente disinformante. Viene insinuata l’idea che M5S abbia redatto una “lista di proscrizione” di parlamentari, bissando l’assurda accusa rivolta al blog di Grillo nel caso dei giornalisti “schedati” . Viene inoltre suggerito che trattasi di parlamentari genericamente “pro U.E.”, mentre l’accusa del Movimento 5 Stelle è specifica e rivolta verso i colpevoli di contratti-capestro che danneggiano il nostro Paese. Non sono parlamentari “pro Ue”, sono piuttosto “anti Italia”. Quasi superfluo sottolineare, fra l’altro, che i nomi elencati da M5S sono consultabili da qualsiasi cittadino nei siti di Camera e Senato.

    (CONTINUA)

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  12. Ho chiesto a Sergio Di Cori Modigliani il motivo di tanta “distrazione” da parte della stampa.

    Ecco la sua gentile risposta:

    “La differenza tra un buon giornalista onesto e uno scarso – spiega Di Cori Modigliani – non consiste nel tipo di risposte che ottiene, bensì nella qualità delle domande che fa. L‘Italia (non a caso 70 esimo al mondo nel ranking relativo alla libertà di stampa) è un paese dove ai giornalisti viene insegnato a non porre certe domande, a evitare certi discorsi, a eludere certi argomenti, e così -crescendo- il giornalista incorpora inconsciamente un meccanismo di auto-censura che in seguito gli aprirà le porte verso il successo professionale. Questo appartiene alla tradizione politica del nostro paese, basata sull’idea del mondo enunciata pubblicamente un paio di anni fa dal cardinal Bertone: “Chi sa non parla, chi parla, invece, non sa”. Un’affermazione che postula l’idea per cui la politica e l’informazione appartengono a un mondo occulto, di adepti, di iniziati, di una élite composta da individui che praticano il concetto di omertà.

    Questo è il motivo per cui l’intera cupola mediatica – continua Di Cori Modigliani – ha scelto e deciso di non diffondere la “notizia oggettiva” relativa alla mozione chiesta dai parlamentari pentastellati ieri in aula. Se l’avessero fatto si sarebbero esposti al rischio di dover spiegare di che cosa si trattava, chi l’aveva votata, quando, come e perché. Magari ci sarebbe stato anche qualche giornalista che avrebbe ricordato, a questo popolo malato di amnesia, che Pierluigi Bersani in data 28 agosto 2011 dichiarò: “Fiscal Compact? Mai. Non firmeremo mai un accordo che sega le gambe all’Italia e la condanna”.

    Quattro mesi dopo la firmava e nessun organo di stampa ha ricordato la frase pronunciata 126 giorni prima. Questo è un paese che vive di omertà, di auto-censura, di silenzi, di omissioni, di cose sottaciute e non dette. Un movimento politico come il M5s che ha al primo punto la chiarezza e la trasparenza diventa pericoloso per il Potere Italiano – conclude Di Cori Modigliani – perché li obbliga a cambiare gioco, e loro non sono né capaci né in grado di saperlo giocare.

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  13. Cantone su Terra dei fuochi:
    "Desecretare la mia audizione"
    Il magistrato: "Le polemiche sui verbali di Carmine Schiavone dovrebbero imporre alle Camere una revisione su tutti i verbali coperti da segreto"



    "Sarebbe opportuno desecretare anche la mia audizione alla Commissione ecomafie. Anzi, le polemiche sui verbali di Carmine Schiavone dovrebbero imporre alle Camere una revisione su tutti i verbali coperti da segreto". Lo dichiara nel corso del programma "A ciascuno suo" di Radio 24 Raffaele Cantone, magistrato, ora in Cassazione, ma fino al 2007 alla DDA di Napoli, dove si è occupato anche dei casalesi e di Carmine Schiavone.

    La sua audizione davanti alla Commissione ecomafie è ancora coperta da segreto: "Sarebbe opportuno fosse desecretata, molte delle vicende raccontate sono già note. Parlammo delle infiltrazioni dei casalesi nei consorzi, che si occupano dei rifiuti; e delle coperture istituzionali dei fratelli Orsi- imprenditori che avevano creato società mista Eco4 (al centro dell'inchiesta che coinvolse l'ex sottosegretario Nicola Cosentino). Allora era opportuno che fossero coperte da segreto, perché le indagini erano ancora in corso, ora non più".

    Cantone racconta ancora di quanto riferì alla Commissione ecomafie sulla "famigerata trattativa casalesi-Stato: parlammo del posizionamento delle eco-balle, che aveva viste delle stranezze e delle prime acquisizioni investigative sui terreni individuati per eco-balle, presupposto per la famigerata trattativa".

    Davanti alle polemiche per i racconti di Schiavone del 1997 rimasti fino al 2013 secretati, Cantone dice a Radio 24 che "erano stati coperti da segreto solo perché all'epoca c'erano ancora attività investigative in corso, per nessun altra ragione.Spesso i verbali davanti alle Commissioni Parlamentari non vengono desecretati per anni solo perché nessuno se ne ricorda o se ne interessa. Il ministero dell'Interno, allora guidato dall'attuale Capo dello Stato Giorgio Napolitano, non c'entrava nulla sul segreto. Ma le polemiche sulle dichiarazioni di Schiavone dovrebbero imporre ora alle Camere una revisione su quali verbali conservare secreta-ti".

    Sei in: Repubblica Napoli / Cronaca / Cantone su Terra dei fuochi: 26 Gennaio 2014…

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  14. La seconda poesia del mese è una lettera aperta pubblicata su Repubblica che squarciava un velo di reticenza sui rifiuti tossici interrati....Ed era un invito di DON PATRICIELLO a ROBERTO SAVIANO per ritornare nella sua terra,con l'intento di amplificare le voci di denuncia nella terra dei fuochi.Il prete di frontiera infonde sempre parole di speranza...E mentre scriveva,i primi fusti pieni di fanghi industriali tossici venivano alla luce......

    TERRA,TERRA NOSTRA,TERRA MIA.


    "Per amore della nostra gente,
    ci facciamo mendicanti.
    Andiamo a bussare a tutte le porte.
    A quelle che si aprono e a quelle che restano ermeticamente chiuse.
    Siamo disposti ad essere umiliati e maltrattati.Respinti e derisi. Minacciati e calunniati.
    Una sola certezza ci sostiene:la nostra Terra risorgerà.
    I nostri figli non avranno a maledirci.
    DIO mise l'uomo nel giardino perché lo coltivasse e lo custodisse.Lo coltivasse per se stesso e i suoi cari e lo custodisse per coloro che sarebbero venuti dopo.Il giardino è stato ferito. Deturpato.Inquinato!
    La Terra avvelenata,non può che avvelenare.La Terra tradita ha tradito l'uomo.
    Vieni Roberto,nella tua Terra.
    Porta con te gli amici che hai incontrato nel cammino della vita. C'è tanta sete di giustizia in giro,tanta rabbia nei giovani. Tanta paura nel popolo.
    Speranza è la parola d'ordine.
    Risorgerà è il verbo che vogliamo coniugare.Ritorna Terra alla tua vocazione antica.Fallo per loro.
    Per i figli che non abbiamo amato.Fallo per loro, già troppo sono stati derubati.
    Allarga ancora Signora le tue braccia.E quel cuore sconfinato, immenso come Iddio.
    Terra.Terra nostra.TERRA MIA......

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  15. Terra dei fuochi, chi ha bruciato la Campania Felix.....
    Era il paradiso dell'agricoltura, tra Napoli e Caserta. Poi la camorra ha scoperto il business dei rifiuti. E ha dato tutto alle fiamme....
    Di Roberto Saviano




    LA STORIA del suicidio più drammatico avvenuto nei paesi mediterranei, ovvero l'eliminazione di una grossa parte delle primizie dell'agricoltura a favore dell'economia illegale dei rifiuti, per qualche giorno è sembrata interessare i media nazionali e la politica. D'improvviso il tema dell'avvelenamento delle terre campane ha attraversato il dibattito nazionale, quello striscione con la parola "Biocidio" è apparso nelle foto, nei siti, nei tg, ed è riuscito a provocare indignazione, paura, promesse di cambiamento. Molti parlano di Terra dei fuochi, pochi sanno cosa significa davvero. In queste settimane in rete circola l'immagine di un documento che risale agli anni 80, stilato dalla sezione del Partito comunista di Casal di Principe. Con quel documento si denunciava, mentre accadeva, l'avvelenamento dei terreni, la fine per sempre della Campania Felix. Sapevamo già tutto. È per questo che quando Carmine Schiavone nel 1997 diceva che gli abitanti della Terra dei fuochi "sarebbero tutti morti nell'arco di venti anni" sbagliava: essi erano già morti, civilmente morti.

    Sono anni che, insieme ad altri, racconto le sciagure della Terra dei fuochi, che nel tempo ha finito con il fagocitare interi comuni, estendendo sempre più i suoi confini. Da quando Peppe Ruggiero di Legambiente usò questa suggestiva espressione, così lontana dalla Terra del fuoco descritta da Magellano. Come l'esploratore portoghese vide dal mare i fuochi sulla costa, così chi viaggia sulla Strada Statale 7 bis Terra di Lavoro (la Nola-Villa Literno) o sull'Asse Mediano, se distrae lo sguardo dall'asfalto vede tutt'intorno fumo salire dalla terra e se abbassa il finestrino sente un odore acre che brucia in gola lasciando un sapore acido. Un odore cui non è possibile assuefarsi.



    Come è potuto accadere? Come è stato possibile intombare tanti rifiuti tossici, fino a renderne difficile se non impossibile l'estrazione dal suolo? C'è la via, tra virgolette, "legale". Da trent'anni diverse aziende del Nord hanno appaltato - e purtroppo ancora appaltano - lo smaltimento dei loro rifiuti speciali a ditte specializzate, apparentemente legali, che riescono a fare enormi sconti: specialmente in una congiuntura economica come questa, possono fare la differenza tra sopravvivere o fallire. È una dinamica chiara: non è forse questo il tempo in cui i grandi Paesi industrializzati affermano di non essere in grado di osservare i vincoli posti dal Protocollo di Kyoto? Basti pensare, a titolo di esempio, come gli stakeholder italiani (ossia i mediatori tra industria e ditte che smaltiscono) sono riusciti, nel 2004, a garantire che ottocento tonnellate di terre contaminate da idrocarburi, proprietà di una azienda chimica, fossero trattate al prezzo di venticinque centesimi al chilo, trasporto compreso. Un risparmio dell'80 per cento sui prezzi ordinari. Le aziende che in questo modo si liberano dei rifiuti prodotti sono colpevoli, certo, ma allo stesso tempo legalmente tutelate, perché le ditte che forniscono il servizio di smaltimento producono documentazioni legali. Poi, il gioco sporco comincia con i giri di bolla che fanno risultare che il ciclo è apparentemente rispettato. Quello dei giri di bolla è il secondo passaggio e avviene nei centri di stoccaggio. I titolari fanno in modo di raccogliere i rifiuti speciali che, in molti casi, miscelano con rifiuti ordinari, diluendo la concentrazione tossica e declassificando, rispetto al Cer (Catalogo europeo dei rifiuti), la pericolosità dei veleni.

    E poi c'è la via criminale. Lo smaltimento illegale tramite combustione: i fuochi. Bruciare copertoni, bruciare vestiti, ogni sorta di plastica, bruciare cavi di rame per liberarsi della guaina, bruciare rifiuti d'ogni sorta speciali e ordinari.
    (Continua)

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  16. È la folle scorciatoia presa da chi vuole evitare costi di smaltimento elevati. Si brucia perché così si diminuisce la massa dei rifiuti e poi si mescolano al terreno le ceneri. Queste terre vengono considerate semplicemente spazi, spazi da riempire, spazi su cui guadagnare.

    Capita spesso, quando si viaggia in questa parte di Paese, di vedere aree di sosta colme di rifiuti.


    Il pensiero più immediato e il più lontano dalla realtà, è pensare che i campani siano incivili perché invece di differenziare la loro spazzatura, invece di gettarla semplicemente nel cassonetto sotto casa, si prendono la briga di caricarsela in macchina e di lasciarla in strada per dare di sé e della propria terra l'ennesimo mortificante spettacolo. Non è così. Quelle aree di sosta sono spazio, metri quadri dove sversare. Tutto questo è l'esatto contrario di ciò che sembra. Non è inciviltà. È criminalità, ovvero una forma organizzata di guadagno. Sommando la superficie di tutte le piazzole di sosta del napoletano e del casertano, ingombre di rifiuti, si raggiungerebbe l'estensione di una grande discarica. E questo è anche il segno dello stadio terminale del disastro. Il rifiuto non è più identificabile, circoscrivibile: il rifiuto ha pervaso le nostre vite. Avanza, fino quasi a lambirci o a sommergerci, come è già accaduto nella città di Napoli qualche anno fa.

    Ma come si è arrivati a tanto? Perché queste terre preziose per le coltivazioni sono diventate cimitero per rifiuti? Pomodori, broccoli, zucchine, cicoria, cavolfiori, fave, peperoni. E poi arance, mandarini, mele, pere. Tutti questi prodotti, la grande distribuzione ha iniziato a pagarli ai coltivatori campani sempre meno. Il rischio, se non avessero accettato di abbassare i prezzi, era che li avrebbero acquistati all'estero, in Libano, in Grecia, in Spagna.




    E così cade la barriera: l'agricoltura smette di essere la fonte primaria di guadagno per i coltivatori diretti che spesso cedono o affittano una parte delle loro terre alle imprese, o più spesso a loro intermediari, per lo sversamento illecito di rifiuti.



    Con quei guadagni vanno avanti e mantengono in parte le coltivazioni, tratti in inganno dalle rassicurazioni che quei rifiuti non arrecano danno. Ben presto si scopre che non è così. Che spesso si tratta di sostanze tossiche che fanno marcire interi raccolti.

    Una domanda non può essere elusa. Chi sono i responsabili di questo disastro ambientale e umano? Io credo che personificare il male sia inutile artificio, quando ci si trova al cospetto di una tale sequela di opere, omissioni, silenzi e ferma volontà di ignorare quello che accadeva. La puzza c'è sempre stata e per i nuovi nati è divenuta normalità, come le piazzole di sosta delle statali divenute discariche improvvisate. Quei silenzi, quelle omissioni e a volte quelle opere, sono state della borghesia campana, napoletana e casertana nello specifico. Il disastro ha creato un indotto economico, foraggiato dalla politica dell'emergenza. E poi ci sono le responsabilità politiche, al di là di quelle giudiziarie. Solo se accettiamo tutto ciò, possiamo poi risalire fino a coloro i quali, plebiscitariamente eletti, hanno rappresentato il potere in Campania negli ultimi anni. Due personalità si stagliano in questo scenario di morte: Antonio Bassolino e Nicola Cosentino. Il primo è reduce da una piena assoluzione all'esito del processo che avrebbe dovuto ricostruire le eventuali responsabilità connesse al disastro del ciclo dei rifiuti in Campania. Il secondo è attualmente sotto processo, anche con riguardo alle vicende del consorzio Eco 4: la rete dei consorzi di gestione del ciclo dei rifiuti ha costituito l'ossatura del sovvertimento democratico, che ha condotto allo spreco di risorse pubbliche, che ha prodotto enormi profitti per la criminalità organizzata e che ha compromesso in maniera difficilmente rimediabile una qualsivoglia normalità nella gestione dei rifiuti.

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  17. I consorzi erano retti da un sistema di potere consociativo. Nei consorzi centrosinistra e centrodestra sono sempre stati alleati.

    Per la enormità di queste evidenze il peso che incombe sulla Procura della Repubblica di Napoli è enorme:Il fallimento di un processo durato anni può rappresentare un boomerang devastante. Il tentativo di sanzionare le responsabilità politiche con lo strumento del processo penale, può implicare due terribili conseguenze: da un lato, l'incapacità di focalizzare le reali responsabilità penali qualora esse vi siano; dall'altro, il rischio di trasformare l'assoluzione all'esito del processo in un'assoluzione anche dalle responsabilità politiche.

    È quello che è successo con Antonio Bassolino, la cui assoluzione in tribunale non cancella però la responsabilità che come politico ha avuto nel permettere che tutto degenerasse fino a questo punto.


    Bisognerebbe uscire definitivamente dalla logica della emergenza, che nel sud Italia e in Campania in particolare si è fatta cultura.
    È il tempo di chiamare a offrire alternative al disastro a quei giovani e non più giovani espulsi da questa società meridionale intrinsecamente mafiosa. Un ruolo fondamentale dovranno avere i sindaci. La storia di Vincenzo Cenname, primo cittadino di Camigliano, in provincia di Caserta, ad esempio, dovrebbe insegnare a tutti che la soluzione c'è già e bisogna solo fare in modo che venga fuori. Osteggiato dal sistema dei consorzi, Cenname ha resistito, appoggiato dai suoi concittadini, ed è riuscito ad organizzare la raccolta differenziata in totale autonomia: e funziona. Oggi è imperativamente necessario procedere a una perimetrazione a carattere scientifico delle zone inquinate con l'introduzione del divieto di produzioni agricole per le stesse e, d'altro canto, la previsione di incentivi per produzioni non agricole. Questa proposta, nella sua ragionevole pragmaticità, parte dalla necessità di associare a ogni area un valore preciso, perché non tutte le aree sono state sfruttate allo stesso modo, non tutte hanno lo stesso grado di inquinamento. Non tutte presentano tracce delle medesime sostanze e non tutte nelle stesse quantità. È evidente che alcune terre sono totalmente compromesse, mentre altre possono essere bonificate e recuperate all'agricoltura con interventi meno incisivi e quindi anche meno costosi.Il danno di questi giorni, che si aggiunge alla devastazione dell'inquinamento e allo sconforto che accompagna il pensiero costante della mancanza di un futuro dignitoso, è che tutto sembra avvelenato. Che tutti i prodotti campani vengano considerati inquinati, dalla mozzarella alle mele annurche, dalle fragole ai pomodori. Tutto viene dato per spacciato, compromesso. Per salvare l'economia agricola della Campania non è più sufficiente semplicemente tracciare la filiera di un prodotto, aggiungere l'etichetta "bio" e vestirlo da prodotto sano. Ora la comunicazione deve essere necessariamente fatta in maniera diversa, non si deve lasciare spazio a dubbio alcuno. Il bollino dovrà esplicitamente dire che il prodotto viene da terra non inquinata, da terra sana. Deve riportare l'indirizzo di un sito su cui è possibile verificare lo stato di quel terreno attraverso analisi. Ogni qual volta si generalizza sull'agricoltura campana o addirittura si iniziano a vedere nei supermercati "questo prodotto non viene dalla Campania", si sta favorendo l'economia camorristica: in che modo?

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  18. I prodotti campani diventano invendibili, a quel punto entrano nel mercato illegale. I prodotti avvelenati vengono mischiati con quelli sani e i clan li portano nei mercati ortofrutticoli che sono stati spesso infiltrati dal potere delle cosche. Quei veleni saranno clandestinamente richiestissimi dai grossisti perché potranno comprare a costo bassissimo e rivenderli come prodotti del nord a costi alti e l'etichetta "non prodotto in Campania".Terre a vocazione agricola, terre di pascolo, terre a vocazione turistica, terre di bellezza, avvelenate sistematicamente sotto il sole, sotto gli occhi di tutti. Sotto gli occhi di chi è rimasto impotente in un paese dove ormai si è convinti che riformare le cose sia impossibile. Ciò che resta è il vigliacco piacere di volerle abbattere pensando a un mondo meraviglioso e nuovo che non verrà mai. E in nome di questo mondo si sta rendendo il quotidiano un inferno invivibile. Questo meccanismo lo descrive benissimo Robert Musil: "Quell'inqualificabile piacere che consiste nel vedere il bene abbassarsi e lasciarsi distruggere con meravigliosa facilità".

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  19. Una condannata a morte da Terzigno, Terra dei fuochi dimenticata -di Amelia Festa-


    Non solo è il cuore a piangere, ma di lacrime non ne ho quasi più. Non ce la faccio più nemmeno ad urlare. Non è da oggi, tutti sapevano, e lo Stato, soprattutto lo Stato, a tutti i livelli, ha contribuito largamente.
    Oggi non mi va. Sembra che tutti si sveglino improvvisamente (ma poi chi? La maggior parte dei media complici continua a tacere abbastanza, almeno delle cose di cui è meglio che non si parli). Non mi va che si usi genericamente la parola “camorra” come se fosse un’entità criminale astratta utilizzata per scaricare responsabilità. Dove erano ieri? Dove erano nel 2007? E nel 2010? E ancora prima? Qui “camorra” non solo è gli affari dei clan locali. Sono gli amministratori locali conniventi e i potenti collusi, sono gli imprenditori criminali con la loro logica spietata del profitto, è il silenzio omertoso di chi ha da sempre scelto di tacere.
    Qui ci hanno tolto la nostra terra, la salute, la vita, e anche i diritti civili primari.
    Qui a Terzigno hanno caricato, preso a manganellate, lanciato gas lacrimogeni su donne, anziani e bambini inermi, quando si provava, in una terra già stuprata e che aveva pagato troppo in termini umani e ambientali, a dire NO all’ennesimo scempio “legalizzato”, ad alzare la voce mentre ci spacciavano per “fabbriche di confetti” maxi discariche in pieno parco nazionale del Vesuvio (la Sari e la Vitiello, per fortuna quest’ultima non realizzata, almeno ad oggi) che zampillavano percolato. Ci hanno fatto passare alle cronache per i facinorosi manovrati dalla “camorra” di cui invece si denunciava il sistema e gli sversamenti illeciti. Hanno finto di stanziare soldi per bonifiche che non sono mai arrivate mentre si manteneva uno stato perenne d’emergenza studiato ad arte per aprire a go-go discariche ed inceneritori di morte per arricchire i soliti noti.
    Qui a Terzigno, intorno alla discarica Sari, accanto ai pregiati vitigni di Lacryma Christi, si proprio quelli lì, quelli d.o.c., la frutta cresce malformata, e come tra la frutta le malattie gravi dilagano tra la popolazione. La falda acquifera è assolutamente compromessa (c’è un rapporto di tredici pagine redatto dall’Arpac Campania che lo dice chiaro e tondo). Ma non è tutto. C’è Cava Ranieri, ancor più vicina al centro abitato, anzi diciamo nel centro, sarà forse circa un chilometro da casa mia; si tratta di un ex sito di stoccaggio di rifiuti ed ecoballe che avrebbe dovuto essere provvisorio, ma che come tutte le cose provvisorie qui, il tempo, il degrado e la non curanza hanno trasformato in un definitivo laghetto di percolato puzzolente, dove per di più sono state affossate nella monnezza alcune domus romane di inestimabile valore archeologico, rinvenute in loco nel ‘92. Ebbene, nelle strade limitrofe a questo suggestivo laghetto si muore in una casa si e in una casa anche: intere famiglie sterminate dallo stesso cancro, morti premature e malattie rare, leucemie fulminanti. Casi di meloblastoma, sarcoma, tumore alla pelle ed al colon. Tre volontarie, mie concittadine, hanno creato un aggiornatissimo registro delle vittime, con l’obiettivo di stimolare un’indagine epidemiologica e di avere un aggiornato registro dei tumori che ad oggi manca e che nessuno vuole avere, non sia mai che si accertasse che non è lo stile di vita a far venire il cancro! Ma non basta, perchè di discariche abusive ce ne sono tante, te le ritrovi qui e lì, a cielo aperto, nelle strade di periferia o addirittura nella pineta del parco nazionale: rifiuti tessili industriali, rifiuti ospedalieri, farmaci, eternit, amianto, pneumatici e quant’altro, lì ammassati pronti ad essere bruciati da “non si sa chi”. Ad ogni ora del giorno e della notte è un rogo tossico il cui odore acre penetra bronchi e polmoni. Si, perché la dose giornaliera di diossina non può mancare! Mica è roba per tutti?!




    (CONTINUA)

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  20. ....Inutili le denunce, le segnalazioni con foto e video incriminanti da parte dei cittadini più attivi. Nessuna risposta dalle istituzioni (ancora una volta a tutti i livelli), o se arriva, troppo flebile.
    Mi sento una condannata a morte, anzi sono una condannata a morte, ad una morte lenta come diceva qualcuno. Non solo faccio parte di quella generazione condannata ad una vita di precariato e con scarse prospettive per il futuro, ma ho avuto la sfortuna di nascere in un luogo dove anche la salute è precaria, dove il cancro è sempre in agguato, e se non colpirà te o un tuo caro, hai paura che un giorno possa colpire un tuo eventuale figlio, in fondo qui ci hai vissuto 30 anni e quei veleni te li porti dentro.Eppure dietro questo velo di orrori e squallore una volta c’era una terra fertile dalla bellezza disarmante. Solo per dirne qualcuna: quella che fu la Campania Felix in cui i ricchi romani sceglievano di far sorgere le loro ville, quella che Leopardi, alla ricerca di un luogo e di un’aria salubre che potesse mitigare la sofferenza dalla propria malattia, scelse per soggiornare nel suo ultimo periodo di vita e a cui dedicò quel meraviglioso canto che è “La Ginestra”…Ed è sufficiente alzare gli occhi verso il Vesuvio in una giornata dal cielo terso per rendersene conto; ti lascia senza fiato, nonostante tutto.

    E allora non ti spieghi come possa essersi arrivati a tanto, non ti spieghi come abbiamo potuto permettere questo; o meglio, di spiegazioni ce ne sono tante, quelle che mancano sono le imputazioni di responsabilità. Quaggiù qualcosa non va, gira al contrario.
    Tu ti affanni a fare la differenziata, a selezionare ogni minimo rifiuto,cerchi di essere attenta su tutto, hai imparato, o ci stai provando, anche ad educare i tuoi consumi per sporcare al minimo, in casa cerchi di riciclare tutto fino all’usura completa, poi ti sposti nel ricco nord ed osservi con stupore, meraviglia e rabbia che lì non fanno nemmeno un minimo di raccolta differenziata, tanto i loro veleni sapevano bene dove sotterrarli.
    Viene voglia di scappare via da qua, il più lontano possibile, ma poi provi un senso di colpa per averci solo pensato, perché abbandonare la tua terra in queste condizioni è come abbandonare tua madre malata in un letto di morte. Così scegli di provare a Resistere, sperando che intanto gli altri si sveglino dal sonno dell’indifferenza prima di dover aspettare di essere colpiti nelle loro case, che a qualcuno possa interessare della sorte di queste donne e uomini alle pendici di un vulcano e ci aiuti a denunciare questa che è una vera e propria ECATOMBE.

    Amelia Festa

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  21. Ucraina, oggi in classe chiudete i libri, aprite il giornale e parlatene.......
    di Alex Corlazzoli |

    21 febbraio 2014




    Lo scrivo a te, caro collega ma lo voglio dire anche a voi amici studenti: stamattina la storia non possiamo leggerla sul testo, non possiamo raccontarla perché la stiamo vivendo.

    Stamattina non possiamo entrare in aula senza pensare a Olesya l’infermiera 21enne che ieri mentre era in piazza a Kiev per protestare contro il governo, ha twittato: “Sono stata colpita, sto morendo”.

    Quel cinguettio è un grido disperato, un appello a noi cittadini d’Europa che non possiamo restare a guardare silenti ciò che sta accadendo a due ore e mezza di volo dall’Italia. Quei giovani in piazza Maidan sono i figli di Katrina, di Margarita, di Irina, quelle che noi chiamiamo badanti. Vivono ogni giorno accanto a noi, stanno ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette, con i nostri nonni. Del loro Paese fino a ieri sapevamo ben poco: questa Ucraina era sconosciuta ai più. Ci ricordavamo a malapena della rivoluzione arancione.

    Ma ora non possiamo più voltarci dall’altra parte. In altri momenti storici saremmo già scesi in piazza con la bandiera della pace; nei nostri licei avremmo iniziato le lezioni con qualche preghiera negli scantinati della scuola. Ora siamo assuefatti, anestetizzati dal teatrino della politica italiana, consapevolmente distratti da un Festival che ha già dato al nostro tempo.

    Stamattina, quando entrerai in classe, caro collega, non fare l’appello dei tuoi studenti. Prova a immaginare di chiamare, con i tuoi ragazzi, quei cento nomi di uomini e donne morti per il loro Paese. Per un giorno non seguire lo sterile programma. Apri un quotidiano con i tuoi alunni: fermati, leggi e rifletti, discuti con loro. Non lasciare che l’ebbrezza della storia scorra nei titoli in sovraimpressione dei telegiornali senza entrate nella vita dei tuoi studenti.

    E tu caro studente, stamattina, provoca i tuoi prof: la scuola è vita, la scuola non può chiudere gli occhi di fronte ad un Paese che sta per entrare in una guerra civile che sanguinerà sull’Europa. Non arrendetevi di fronte a chi preferisce parlarvi solo di ciò che sta già scritto, alzatevi in piedi, parlate, raccontate la storia della badante di vostro nonno, chiedete anche solo un minuto di silenzio per l’Ucraina. Per poi magari riempire quel silenzio di immagini scattate in piazza Maidan.

    Raccontate di Anna, una ragazza che ho conosciuto sul treno verso Napoli: è arrivata in Italia da un piccolo paese dell’Ucraina a 19 anni. Ha abbandonato la sua famiglia, ha fatto per due anni la badante. Su quel vagone, di fronte al mio spaesamento nel sentire la sua storia, mi rimproverava con un “Quando hai necessità sei disposto a tutto anche se sei giovane”.

    In queste ore mi ha scritto: “Io almeno qui in Italia vedo il lusso e il divertimento non la paura e la disperazione della gente del mio popolo”.

    Stamattina, chiudete il libro, ascoltate “La storia siamo noi” di De Gregori mentre guardate i volti di chi sta scrivendo la storia in Ucraina.
    Siamo tutti coinvolti.

    P.S:Dopo la Grecia,dopo i paesi P.I.I.G.S,con la sovranità limitata e con un economia strozzata dai debiti,adesso è l'ora dell'UCRAINA....
    "Domani":per chi suona la campana?????

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  22. IL GATTOPARDO

    E' un vecchio "governo nuovo":
    Per esempio Graziano Delrio. Portavoce, sodale, braccio destro, collaboratore n.1 di Renzi e ora sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel suo primo governo: si segnala per essere padre di 9 figli, ma soprattutto per essere stato (2004) il primo sindaco di Reggio Emilia non proveniente dal Pci, così come era stato dal 1945. Un sindaco non ex comunista; anzi un dc doc. Pupillo di Castagnetti, poi consigliere regionale col Partito popolare di Martinazzoli, quindi consigliere comunale, poi segretario della Margherita reggiana, poi appunto sindaco, poi presidente Anci. Graziano Delrio, il GianniLetta di Renzi (se volete saperlo, è anche contro i matrimoni gay, ha un cane di nome Lapo e propone di aumentare la tassazione sui titoli di Stato).
    Vi devo confessare che per le prime 48 ore, dacché è cominciata la kermesse del "nuovo" governo, ho aspettato fino all'ultimo l'apparizione (liberatoria) del cartello "Siete su Scherzi a parte"; e invece no, tutto vero. Trattasi di "vero" governo; quello, per cominciare, che nasce con macchia originale, il tradimento consumato a freddo dal fratello-coltello noto come #enricostaisereno. Un governo di per sé fellone, sospetto, senza stima fuori dal recinto renziano stretto.
    Preventivamente snobbato dagli ex fiori all'occhiello - i vari Farinetti, Baricco, Guerra, Montezemolo, Gino Strada, Lucrezia Reichlin - nasce anche senza il pregiato "mi piace" di Giorgio Napoletano, che si è affrettato a chiarirlo: «È roba sua». Sua di Renzi, questa roba del governo, ministri inclusi.
    E nasce, lo hanno riconosciuto tutti gli osservatori, come un governo di vecchio stampo all'insegna del vecchio manuale Cencelli. Alla faccia di tutto il gran "nuovo" sbandierato, il nuovo leader, le nuove facce, le nuove generazioni: è solo il caro vecchio manuale Cencelli, l'antica aurea regola democristiana per distribuire ad hoc posti e cariche a partiti e correnti.
    Infatti, anche qui ce n'è per tutti. Qualche spostamento di poltrona per alcuni esponenti del decapitato governo Letta - senza peraltro darsi troppo pensiero di competenze e professionalità - e un posticino che non si nega a nessuno (Forza Italia inclusa). Contenta la LegaCoop che vede il suo presidente Giuliano Poletti, a capo di Lavoro e Servizi sociali, ma soddisfatta anche Comunione e Liberazione, con Maurizio Lupi ai Trasporti; e pure Confindustria è ben rappresentata con la Federica Guidi, ex presidente dei Giovani imprenditori, catapultata allo Sviluppo economico (e pazienza se già in odore di conflitto di interesse).
    Accontentati del pari Udc, Lista Civica, Giovani Turchi (con l'inclusione di Maria Carmela Lanzetta); ma pure Bce, Fmi, Ocse (e d'Alema) con la avocazione di Pier Carlo Padoan allo scranno pesante dell'Economia. E ponti d'oro all'indispensabile NCD, al quale viene sacrificata la già «improcrastinabile priorità» della legge elettorale (sì Angelino, se ne parlerà dopo, dopo la riforma del Senato, «dopo»...). È lasciata fuori, senza lacrime, la sola Kyenge (è addirittura sparito il suo ministero).
    Sì, un governo pieno di bufale. Un governo solidamente democristiano, tendenza centrodestra, convergenza Berlusconi. Un governo propriamente Renzi: il Renzi sempre più irresistibilmente simile alla sua caricatura. Il Renzi-Crozza.

    Maria R. Calderoni

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  23. Tolto il ministro della economia che è il fiduciario delle banche e del Fondo monetario internazionale, lì non si scherza, e qualche figura chiamata per maquillage democratico, il format del governo è: i giovani al potere, finalmente. Peccato che questi giovani siano tutti pecore Dolly della politica. Ricordate quell'ovino clonato che in realtà si scoprì essere nato già biologicamente vecchio? Ecco, la gioventù al governo è tutta clonata dai precedenti gruppi dirigenti, lo stesso presidente del consiglio ricorda un pò Craxi e un po' Forlani, con una spruzzata di Andreotti per il gusto delle battute ciniche.
    Essi devono rappresentare il nuovo nella più pura tradizione del Gattopardo: cambiare proprio tutto perché non cambi proprio nulla.

    Da LIBERAZIONE

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  24. "IL VIAGGIO CHE CI È DATO È INTERAMENTE IMMAGINARIO:...È TUTTO INVENTATO".....

    SONO I PRIMI VERSI DE IL VIAGGIO AL TERMINE DELLA NOTTE DI CELINE,CHE CI ACCOMPAGNERÀ SIN DAI PRIMI FOTOGRAMMI ALLA RICERCA DELLA GRANDE BELLEZZA DEL CINEASTA NAPOLETANO:CHE HA VINTO,OLTRE L'OSCAR, UN GOLDEN GLOBE, QUATTRO EUROPEAN AWARDS, ALTRETTANTI NASTRI D'ARGENTO E UNA VITTORIA AI BAFTA...
    LA GRANDE BELLEZZA È UN FILM SULLA MALINCONIA,SUI RIMPIANTI E SULLA MORTE,ED HA L'INDISCUTIBILE MERITO DI DESCRIVERE L'ITALIA CONTEMPORANEA AFFLITTA DAL VUOTO E DAL SENSO DI NULLITA' CHE CI CIRCONDA......

    VIAGGIO AL TERMINE DELLA NOTTE
    (DI CELINE)

    VIAGGIARE, È PROPRIO UTILE, FA LAVORARE L'IMMAGINAZIONE. TUTTO IL RESTO È DELUSIONE E FATICA. IL VIAGGIO CHE CI È DATO È INTERAMENTE IMMAGINARIO. ECCO LA SUA FORZA. VA DALLA VITA ALLA MORTE. UOMINI, BESTIE, CITTÀ E COSE, È TUTTO INVENTATO. È UN ROMANZO, NIENT'ALTRO CHE UNA STORIA FITTIZIA. LO DICE LITTRÉ, LUI NON SBAGLIA MAI. E POI IN OGNI CASO TUTTI POSSONO FARE ALTRETTANTO. BASTA CHIUDERE GLI OCCHI. È DALL'ALTRA PARTE DELLA VITA.

    BISOGNA AVER SEMPRE L'ARIA UTILE QUANDO NON SEI RICCO.

    PERCHÉ NEL CERVELLO D'UN COGLIONE IL PENSIERO FACCIA UN GIRO, BISOGNA CHE GLI CAPITINO UN SACCO DI COSE E DI MOLTO CRUDELI.

    LA MIGLIOR COSA CHE PUOI FARE, NO?, QUANDO SEI A 'STO MONDO, È DI USCIRNE. MATTO O NO, PAURA O NO.

    QUANDO SEI DEBOLE QUELLO CHE TI DÀ FORZA È LO SPOGLIARE GLI UOMINI CHE TEMI DI PIÙ DI TUTTO IL PRESTIGIO CHE SEI ANCORA PORTATO AD ATTRIBUIRGLI.

    È PIÙ DIFFICILE RINUNCIARE ALL'AMORE CHE ALLA VITA.

    LA VITA È QUESTO, UNA SCHEGGIA DI LUCE CHE FINISCE NELLA NOTTE.

    QUASI TUTTI I DESIDERI DEL POVERO SONO PUNITI CON LA PRIGIONE.

    SIAMO PER NATURA COSÌ SUPERFICIALI, CHE SOLTANTO LE DISTRAZIONI CI POSSONO IMPEDIRE DAVVERO DI MORIRE.

    CI SONO PER IL POVERO A 'STO MONDO DUE GRANDI MODI DI CREPARE, SIA CON L'INDIFFERENZA GENERALE DEI SUOI SIMILI IN TEMPO DI PACE, SIA CON LA PASSIONE OMICIDA DEI MEDESIMI QUANDO VIEN LA GUERRA.

    L'AMORE È L'INFINITO ABBASSATO AL LIVELLO DEI BARBONCINI.

    IL CINEMA, QUESTO NUOVO PICCOLO STIPENDIATO DEI NOSTRI SOGNI, TE LO PUOI COMPERARE QUELLO, PROCURARTELO PER UN'ORA O DUE, COME UNA PROSTITUTA.

    LA GUERRA E LA MALATTIA, QUESTI DUE INFINITI DELL'INCUBO.

    CHI PARLA DELL'AVVENIRE È UN CIALTRONE, È L'ADESSO CHE CONTA. INVOCARE I POSTERI, È PARLARE AI VERMI.

    QUANDO NON SI HA IMMAGINAZIONE, MORIRE È POCA COSA, QUANDO SE NE HA, MORIRE È TROPPO.

    LA MAGGIOR PARTE DELLA GENTE NON MUORE CHE ALL'ULTIMO MOMENTO; ALTRI COMINCIANO E SI PRENDONO VENT'ANNI D'ANTICIPO E QUALCHE VOLTA ANCHE DI PIÙ. SONO GLI INFELICI DELLA TERRA.

    UN PADRONE SI SENTE SEMPRE UN PO' TRANQUILLIZZATO DALL'INFAMIA DEI SUOI DIPENDENTI.

    È IL VIAGGIATORE SOLITARIO QUELLO CHE VA PIÙ LONTANO.

    IL VIAGGIO È LA RICERCA DI QUESTO NIENTE ASSOLUTO, DI QUESTA PICCOLA VERTIGINE PER COGLIONI.

    È FORSE QUESTO CHE SI CERCA NELLA VITA, NIENT'ALTRO CHE QUESTO, LA PIÙ GRAN PENA POSSIBILE PER DIVENTARE SE STESSI, PRIMA DI MORIRE.

    (CELINE)

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  25. Paolo Sorrentino con l'Oscar Alfabeto napoletano di Paolo Sorrentino. Attori, musicisti, collaboratori e ispiratori del suo cinema raccontano il regista dietro le quinte, svelano aneddoti, suggestioni e sentimenti che lo hanno reso premio Oscar. Un dizionario di personaggi e persone che cerca di raccontare in pillole tutto ciò che ha condotto Sorrentino alla statuetta: dalle giacche di Jep alle musiche che ascoltava da adolescente, dalla sua famiglia ai romanzi di formazione. Le scelte fatte e quelle evitate, senza mai dimenticare Napoli. Radice del suo linguaggio.
    ATTOLINI Cesare -Cosa è "a mappina"? In una traduzione letterale è lo straccio. Nella traduzione sartoriale di Vincenzo Attolini è una giacca morbida e leggera come una camicia. Cesare Attolini, erede ed evoluzione di Vincenzo, veste Toni Servillo- Jep con le napoletanissime e coloratissime giacche con le maniche "a mappina". Le giacche di Attolini, quella "che zompa arreto" (più corta dietro) oppure "il tre bottoni strappato a due" o con scollo "a martiello" dipingono a pennello Jep, perché sono giacche a prima vista piene di difetti, ma che, in realtà, sono la sintesi di un'eleganza mai scontata.

    BRUNO Nino - "L'adolescenza è decisiva", ha dichiarato Sorrentino. Amico di alcune delle giovani notti vomeresi del cineasta è stato il musicista Nino Bruno. Per "L'uomo in più", il film d'esordio, scrissero assieme "Lunghe notti da bar" e "La notte". Poi Bruno ha composto "Every Single Moment in My Life is a Weary Wait" per "This Must Be the Place" (2011). "Da ragazzi io e Paolo andavamo in vacanza a Salina e ad Alicudi poi lui fece una parte in un mio show al Teatrino di Corte, "Mondanità". Era il 1998. Un paio di brani della colonna sonora finirono nel suo cortometraggio "L'amore non ha confini". Io gli ho fatto scoprire i Sigur Ros, lui a me tanta altra musica. Paolo mi ha trasmesso la passione per la scrittura: leggendo le sue storie ho iniziato a scrivere le mie. Sono contentissimo per l'Oscar".

    BUCCIROSSO Carlo - La mimica cafona e lasciva di Lello Cava (alias Carlo Buccirosso) apre la carrellata comica de "La grande bellezza". Memorabile la battuta "mhm, stavo bevendo", durante il litigio tra i personaggi di Jep e Stefania (Galatea Ranzi). Buccirosso, tra l'altro, aveva interpretato già uno strepitoso Paolo Cirino Pomicino nel lungometraggio "Il divo - la spettacolare vita di Giulio Andreotti", nel 2008.

    D'ANTONIO Daniela - La moglie di Sorrentino, giornalista di "Repubblica", è la sua "personale grande bellezza", insieme ai figli Anna e Carlo. Appena Ewan McGregor annuncia la vittoria, Sorrentino si volta e bacia Daniela. Per alcuni secondi ci sono solo loro due. Il regista poi sul palco degli Oscar ringrazia la "sua grande bellezza": la sua famiglia, con un pensiero anche per il fratello Marco, la sorella Daniela e i genitori Sasà e Tina. Daniela, vestita di rosso, spalle scoperte e capelli legati dietro alla nuca, sorride e applaude guardando negli occhi il marito.

    DE LUCA Massimo - Alcuni dicono che Toni Servillo nel film somigli a Raffaele La Capria, "il napoletano di Roma". Altri dicono che Jep Gambardella sia un lontano parente di Massimo de Luca di "Ferito a morte". E in verità Sorrentino ha proposto a La Capria l'idea di un film tratto da "Ferito a morte", film che poi non si è mai fatto. Gambardella esprime quella lontana fascinazione di Sorrentino per Massimo de Luca e per il binomio felicità/precarietà. "Chiarisco subito, però, che Jep non allude a La Capria. Jep lo sfiora ma contiene anche altro", spiega Sorrentino.

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  26. FORTE Iaia - È l'attrice napoletana che nel film interpreta Trumeau, moglie di Lello Cava, e in un impeto di filosofia ammette di sentirsi "un po' pirandelliana". È talmente spericolata che rischia con la sua sagoma mettendosi in posa per il "pittorico" lancio di coltelli. Iaia Forte, oltretutto, la scorsa stagione ha portato in scena, nei panni di Tony Pagoda, le storie grottesche e border-line di "Hanno tutti ragione" (2010), il primo romanzo scritto da Sorrentino, che rappresenta il dilatarsi della biografia di Antonio Pisapia, uno dei due protagonisti del film d'esordio "L'uomo in più".

    GAMBARDELLA Cherubino - "Quando sono arrivato a Roma, a 26 anni...", dice Jep camminando solitario lungo il Tevere. Nella scena girata in un sabato pomeriggio d'agosto, si rivela parte dell'identità reale del protagonista. Si tratta dell'architetto Cherubino Gambardella, che commenta: "Grandissima felicità sul premio a Paolo. Goliardicamente Paolo mi ha sempre preso in giro per la fissazione sulle giacche sartoriali, dai colori sgargianti. Due anni fa a casa sua, poi, rivelò a mia moglie che il mio ego sarebbe di lì a poco cresciuto a dismisura e quand'ho visto "La grande bellezza" a Cannes sono saltato sulla sedia per i paralleli tra Jep e me. Paolo ha un merito unico: sa ipnotizzare".

    GIULIANO Nicola - Con Sorrentino dall'esordio all'Oscar. Nicola Giuliano, napoletano, produttore cinematografico, fondatore della Indigo Film, nel 2001 realizza "L'uomo in più" e non lascia più Sorrentino, con cui arriva sul tappeto rosso di Los Angeles.

    MARADONA Diego Armando - Quando non lavora, Sorrentino si abbandona al pallone. Talvolta, giocando con amici registi e attori. Oppure - l'ha fatto addirittura prima di partecipare alla cerimonia di Los Angeles - cercando un bar dove ammirare gli azzurri in campo. Sul palco ha ringraziato Diego Maradona, suo maestro "nel come si possa fare spettacolo". Sul retro del suo videofonino, il cineasta ha messo già da tempo un adesivo con il logo del calcio Napoli e presto potrebbe accettare l'invito del Pibe de oro a Scampia. Per mostrare anche a tutti i ragazzi della periferia Nord, in una proiezione-conversazione a due, "La grande bellezza".

    SERVILLO Toni - Intorno al 2000 Sorrentino, che era poco più di un ragazzo, propone a Servillo una sceneggiatura, ma lui stava portando in scena "Il misantropo" di Molière e rifiuta. Ma poi ci ripensa e se ne innamora: gira "L'uomo in più", poi "Le conseguenze dell'amore". Sono seguiti "Il divo" e "La grande bellezza". A proposito di Jep Gambardella, Servillo dice in un'intervista a Vanityfair. it: "Jep è un cinico sentimentale, deluso dal presente e non estraneo a un atteggiamento moralistico. Segue, attraversa e a tratti asseconda con passo lieve i riti della mondanità intellettuale o pseudo- intellettuale, dissipando il proprio talento. Lascia dietro di sé una lunga serie di occasioni mancate, una scia di rimpianto, un'illusione. Una tragica impasse da cui si vorrebbe evadere senza averne la forza. Da qui il tema universale, lo specchio in cui si sono osservati anche quelli che un passaporto italiano non lo possedevano".

    SCHETTINO Francesco - Malinconia e rimpianto che diventano "The Beatitudes", il brano con cui si chiude "La grande bellezza" dopo che Jep Gambardella ha deciso di andare al Giglio per il reportage sulla Costa Concordia. Lì, davanti al naufragio più plateale della storia italiana, Jep ritrova la speranza. Schettino torna a bordo della Concordia due anni dopo il naufragio del 13 gennaio 2012 e Sorrentino vince l'Oscar. Succede tutto in 48 ore. I due personaggi sembrano legati a doppio filo. Schettino è il passato di Jep Gambardella e allo stesso tempo il suo futuro. Il rimpianto per quello che è diventato e la beatitudine per quello che può ancora diventare.

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  27. FRAU MERKEL HA MANDATO IL RIGORE IN PENSIONE(Da affari e Finanze)

    Contrordine-...Damen und Herren- d'ora in poi in Germania l'età pensionabile minima non sarà più di 67 ma di 63 anni...
    E non basta:i contributi figurativi riconosciuti alle gestanti che abbiano interrotto l'attività lavorativa vengono triplicati,da uno a tre anni.
    Il tutto per un onere complessivo stimato in circa 160 miliardi di qui al 2030,che sarà coperto con un aumento dei contribuiti a carico di lavoratori e imprese oltre che con finanziamento a valere sul bilancio federale...
    Il provvedimento dà così attuazione alla più dispendiosa tra le riforme concordate per la grande coalizione fra CDU e SPD.
    In ogni caso,vista dal resto d'Europa,questa retromarcia tedesca sul sempre fragile terreno della spesa previdenziale mette in luce un'evidente contraddizione di comportamento. Sempre così pronta a reclamare il rigore dei conti pubblici in casa altrui,la sedicente inflessibile Angela Merkel finisce per razzolare in tutt'altra direzione quando si tratta di casa propria.A ennesima conferma dell'ambiguo ruolo che la Germania gioca all'interno dell'Unione Europea.Come s'è visto con il salvataggio delle banche tedesche nella crisi greca e si continua a vedere con il rifiuto di Berlino a rimodulare il proprio abnorme surplus commerciale.C'è da chiedersi sgomenti perché sia Bruxelles sia gli altri soci dell'Unione Europea assistano imbelli a simili esercizi di prepotenza....(Massimo Riva)

    Già perchè????

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  28. APRILE

    W i ricchi!

    La notizia è di quelle che ti fanno allargare il cuore, ti fanno felici, portano un po' di luce nel tunnel di esistenze per lo più grigie, diciamo carenti: i ricchi, anzi gli straricchi, nel mondo sono aumentati! Sono il 6 per cento in più dell'anno passato! Persino nella misera Grecia sono aumentati, nel mondo sono 210 in più e insieme fanno un portafoglio di 5.400 miliardi di dollari.
    Embé?

    Lo sapete da due millenni, che «è più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel Regno dei cieli».

    E con ciò?.

    «Crede che quei banchieri siano in prigione? Nossignore. Sono fra i cittadini più stimati della Florida. Sono feccia, almeno quanto i politici disonesti! Creda, io ne so qualcosa. E’ da tempo che mangiano e si vestono con i miei soldi. Finché non sono entrato nel racket non sapevo quanti imbroglioni indossano abiti costosi e parlano con accento da signori».

    (Al Capone).

    E anche.

    «Chi afferma che i ricchi che si dedicano alla politica ruberanno di meno proprio perché già benestanti è come se affermasse che i drogati consumeranno meno stupefacenti, proprio perché già drogati».

    (Carl William Brown).

    E anche.

    «Perché denunciare il reddito dopo il bene che vi ha fatto? »

    (Marcello Marchesi).

    Ed è pur vero:

    «Naturalmente nella vita ci sono un mucchio di cose più importanti del denaro: ma costano un mucchio di soldi! »

    (Groucho Marx);

    così come é vero che è

    «Meglio vivere ricchi, che morire ricchi».

    (Samuel Johnson);

    ed è sacrosanto che

    «Non si può mai essere troppo magri o troppo ricchi». (Duchessa di Windsor).

    Ma dopo tutto, si deve capire. Se non esistessero i poveri, sarebbe una terribile sciagura. Infatti

    «Bisogna prendere il denaro dove si trova: presso i poveri. Hanno poco, ma sono in tanti».

    (Ettore Petrolini).

    E comunque, ci si può consolare.

    «Chi non possiede non deve temere di perdere».

    (Seneca);

    tanto più che

    «L'oro non è tutto. C'è anche il platino» (Paperon De'Paperoni).


    di Maria R. CALDERONI

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  29. Maggio



    MINIMA MORALIA

    L’ingiustizia oggi cammina con passo sicuro.
    Gli oppressori si fondano su diecimila anni.
    La violenza garantisce: com'è’, resterà.
    Nessuna voce risuona tranne la voce di chi comanda,e sui mercati lo sfruttamento dice alto:solo ora io comincio.
    Ma fra gli oppressi molti dicono ora:quel che vogliamo non verrà mai.

    Chi è ancora vivo non dica: mai!
    Quel che è sicuro non è sicuro.
    Com'è, così non resterà.
    Quando chi comanda avrà parlato
    parleranno i comandati.
    Chi osa dire: mai?
    A chi si deve se dura l’oppressione?A noi.
    A chi si deve se sarà spezzata? Sempre a noi.
    Chi viene abbattuto,si alzi!
    Chi è perduto, combatta!
    Chi ha conosciuta la sua condizione,come lo si potrà fermare?
    Perché i vinti di oggi sono i vincitori di domani.E il mai diventa:oggi!

    BERTOLT BRECHT...
    ---------------------------------
    Primo maggio: festa degli schiavi?
    di Fabio Marcelli

    Il barista che mi serve tutte la mattine espresso e cornetto anche oggi lavora. Gli ho chiesto se andava a mangiare fave e pecorino per la tradizionale escursione del primo maggio e mi ha risposto che non è la sua festa. Non si sente lavoratore ma schiavo. Ovviamente era una battuta. Ma coglie una parte di verità.

    E’ in corso da tempo una degradazione del lavoro che costituisce un fenomeno strutturale che va ben al di là delle norme e delle declamazioni. Vari sono gli aspetti di questa degradazione. La competizione esistente fra i capitalisti porta a un deterioramento costante delle condizioni di lavoro. Ciò avviene mediante vari strumenti, dalla delocalizzazione, che spinge le imprese a investire in luoghi dove hanno mano libera, allo sfruttamento del lavoro migrante, all’importazione di beni costruiti in luoghi dove non vigono né norme di tutela né garanzie, alla polverizzazione delle aziende per sottrarle alle normative di tutela del lavoro, all’invenzione di forme di lavoro autonomo per finta in realtà caratterizzate da subordinazione sostanziale, alla precarizzazione, ecc.

    Il tutto all’insegna dello sfruttamento più selvaggio. I licenziamenti diventano sempre più facili. La precarietà, solo valore cui sembra ispirare la sua azione il governo Renzi, diventa oramai la norma, specie per i più giovani. La disoccupazione dilaga al punto che la stessa Susanna Camusso afferma che il primo maggio più che festa del lavoro dovrebbe essere festa dei disoccupati. Disoccupazione e precarietà uccidono il futuro e uccidono l’economia come hanno capito anche organi e organismi del capitalismo, dal New York Times al Fondo monetario internazionale. Non l’hanno invece capito Renzi e Poletti e si teme che non lo capiranno mai.

    La quota di reddito nazionale destinata ai salari è in crollo costante da molti anni a questa parte. Non solo in Italia, ma in tutto l’Occidente capitalistico. Non bastano certo le mancette di ottanta euro a recuperare questa perdita permanente, che in Italia ha subito una decisa accelerazione con il venir meno dell’indennità di contingenza, fortemente voluto, all’epoca, dal cleptocrate Bettino Craxi. Oggi bisogna chiedere un reddito di cittadinanza per tutti, anche e soprattutto per i disoccupati.

    Involuzioni analoghe hanno avuto luogo negli ultimi quarant’anni in tutti i Paesi economicamente avanzati. Quelli cosiddetti emergenti hanno fatto ricorso a forme di sfruttamento selvaggio che hanno costituito una delle basi del loro emergere. Molte volte si scatena la più massiccia repressione contro i tentativi di organizzazione. La Colombia, sedicente democrazia, ha il record mondiale dei sindacalisti morti ammazzati. Eppure nessuno ne parla. Un forte problema di potere e diritti dei lavoratori si pone ovunque, a cominciare dalla maggiore economia mondiale, la Repubblica popolare cinese.

    Checché se ne dica, la lotta di classe è in pieno corso. Tuttavia la combatte solo il padronato. E la combatte bene.

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  30. (continua)

    In Italia sono stati smantellati tutti i partiti che erano un riferimento per i lavoratori. Molti per la propria insipienza. Annegati nel proprio narcisismo senza costrutto o addirittura nella corruzione oggettiva e soggettiva. Oggi si tenta, con la Lista Tsipras, di rilanciare una sinistra e occorre fare di tutto affinché il tentativo riesca e vanno appoggiati settori e posizioni di sinistra nel Movimento Cinque Stelle. I sindacati non sempre fanno il loro mestiere. Anzi quasi mai. Bisogna appoggiare i pochi che lo fanno, come la Fiom e qualche altro settore della Cgil, Usb e Cobas.

    In questa modifica dei rapporti di forza, che si è prodotta su base planetaria, hanno la loro principale radice i fenomeni peggiori del nostro tempo. Senza lavoratori organizzati non c’è democrazia. Senza democrazia non c’è difesa efficace dalle mafie, dalla corruzione, dall’evasione fiscale, dal degrado ambientale, ecc. O vorreste che ci pensasse la Confindustria? O le banche? O le società finanziarie? Quando sono loro, in realtà, i principali artefici dello sfascio?

    Per questi motivi anche l’Italia sta andando alla deriva. Era una Repubblica fondata sul lavoro, è diventata un Paese ademocratico fondato sulla schiavitù di chi lavora. Immigrati e nazionali.

    E’ un momento difficile ma passerà. La vecchia talpa scava ancora e senza sosta. Non si può continuare a tenere generazioni intere nel limbo della disoccupazione e della povertà. I dementi che governano l’economia italiana e mondiale forse lo pensano. Non sono affatto consapevoli, come di tante altre cose, del fatto che stanno vivendo loro un’esistenza precaria, in cima a un vulcano che prima poi è destinato ad esplodere. Sarebbe l’unica reale chance di sopravvivenza per il pianeta e per l’umanità.

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  31. Genny ‘a Carogna merita di diventare prefetto: appello a Renzi
    di Arnaldo Capezzuto 4 maggio 2014


    Appello al premier Matteo Renzi: nomini Prefetto Genny ‘a Carogna. E’ un atto dovuto e di serietà. Ieri sera, allo stadio Olimpico di Roma alla presenza in tribuna dello stesso presidente del Consiglio, del presidente del Senato Pietro Grasso, del presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi e i vertici del calcio nazionale abbiamo dovuto attendere e ringraziare Gennaro De Tommaso, alias Genny ‘a Carogna, capo degli ultras partenopei del gruppo Mastiffs e dell’intera curva A dello stadio San Paolo per aver dato l’ok all'incontro di finale di Coppa italia Napoli -Fiorentina.

    Ecco: il giovanotto ha gestito magistralmente l’ordine pubblico e salvato moltissime poltrone istituzionali. Penso e credo che meriti come minimo una nomina a Prefetto della Repubblica. Seduto su una grata della curva Nord, il capo ultrà ha partecipato alla convulsa trattativa che ha ritardato di 45′ il match poi vinto dalla squadra azzurra. Certo ‘a Carogna non è uno stinco di santo. E’ già destinatario di Daspo ha alle spalle vari precedenti giudiziari (fu arrestato per droga).

    Vabbè che c’entra? Ci sono vertici del nostro Stato che con ostinazione da oltre 20 anni negano o non ricordano che è avvenuta una trattativa con la mafia altri che nonostante i massacri del G 8 di Genova sono stati promossi. A chi però storce il naso per via della maglietta nera che indossava ‘a Carogna con la scritta gialla : “Speziale libero” possiamo dire con serenità che è solo marketing da duro. Occorre solo ammirare il carisma e la bravura del tatuato Genny ‘a Carogna che dopo aver parlato a lungo col capitano del Napoli Hamsik e i vertici della Questura della Capitale e i rappresentanti del Prefetto ha autorizzato la disputa della finale.

    Lo Stato deve ringraziare attribuendo un’onorificenza a Genny ‘a Carogna se la partita non si è trasformata in tragedia. Non scherzo quando sostengo che il premier dovrebbe nominare per le attitudini dimostrate e senso dello Stato Genny ‘a Carogna, Prefetto. Le immagini in diretta tv hanno fatto il giro del Paese e d’Europa e dimostrano e provano la serietà, il carisma, l’attitudine al comando della Carogna. Tra l’altro Genny ha referenze importantissime, c’è il collaboratore di giustizia Emilio Zapata Misso che spiega:“Gli equilibri fra i gruppi di tifosi e quelli fra clan camorristici si influenzano gli uni con gli altri (…) Il capo dei “Mastiffs” è De Tommaso Gennaro, detto “Genny ‘a carogna”, figlio di Ciro De Tommaso camorrista affiliato al clan Misso (…) Così come il gruppo “Rione Sanità” è comandato da Gianluca De Marino, fratello di Ciro, componente del gruppo di fuoco del clan Misso”.

    Ancora di più, ci sono anche inchieste della Digos di Napoli e della magistratura che illustrano come i componenti del gruppo organizzato dei tifosi dei “Mastiffs” sono stati più volte coinvolti in indagini giudiziarie insieme all’altro gruppo della torcida azzurra i Fedayn per tifo violento con arresti e perquisizioni. A rafforzare il quadro delle benemerenze del capo dei Mastiffs c’è anche il racconto di Salvatore Russomagno, pentito del clan Mazzarella che spiega : “Dell’esistenza di azioni punitive che avvengono quando un calciatore gioca male oppure non si presenta alle riunioni presso i circoli sportivi, ovvero parla male dei tifosi e in particolare dei Mastiffs. I Mastiffs sono violenti e non gradiscono le dichiarazioni dei calciatori contro la violenza degli stadi.....
    Alla fine il presidente Aurelio De Laurentiis a Coppa Italia conquistata nel corso di un’intervista lo riconosce : “A Napoli è tutto diverso”.

    Caro presidente non solo a Napoli ma in generale è tutto diverso in Italia. Nel paese al contrario forse il Prefetto e il Questore di Roma dovrebbero essere rimossi invece è più giusto che Genny ‘a Carogna abbia un riconoscimento istituzionale.

    (Da il Fatto Quotidiano)

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  32. REGIONE CAMPANIA:inchieste, arresti e scandali.
    A quando lo scioglimento?
    di Arnaldo Capezzuto
    (da IL FATTO QUOTIDIANO)
    20 maggio 2014

    L’imperturbabile Governatore Stefano CALDORO stamane si è visto arrestare anche il presidente del Consiglio regionale della Campania il sorridente Paolo Romano. Insomma solo il presidente della Regione non si accorge che palazzo Santa Lucia tra inchieste, arresti, scandali - uno tra l’altro riguarda Sandro Santangelo, capo della segreteria e compagno politico di una vita – sta crollando.

    Lui, Caldoro è attento e schiva ogni calcinaccio, lui Caldoro è sempre alla giusta distanza dagli accadimenti; lui, Caldoro è corretto e demo-cristianamente educato.
    Con il solito pacato aplomb da copione dirà : “Sono garantista, fiducia nella magistratura e piena solidarietà a Romano che saprà dimostrare la sua innocenza”.
    Non è farina del suo sacco. E’ il software di cui è programmata la sua azione politica. Una sorta di pilota automatico.
    A parte le chiacchiere formato spot elettorali la Regione Campania è ferma al palo. Un’istituzione umiliata dall'esperienza incolore e inodore di Antonio Bassolino e che trova in Stefano Caldoro una sorta di bomboniera senza confetti.

    La Campania non cresce, i problemi vengono messi sotto al tappeto e buona parte delle risorse sono utilizzate scientificamente per irrorare gli affluenti clientelari. E’ sempre la stessa, maledetta, endemica storia fatta di genuflessioni, sepolcri imbiancati, amici degli amici, galoppini, faccendieri e strane entità di collegamento. Un’istituzione piegata, piagata e umiliata a soli scopi di potere e di equilibri politici locali, nazionali e di corrente. Il grande governatore-timoniere anche con Forza Campania, la corrente-partito ispira alla figura dello statista NICOLA COSENTINO, temporaneamente recluso con due dei suoi fratelli nel carcere di Secondigliano – è riuscito a trovare un accordo. A sancirlo è arrivato l’ex ministro Raffaele Fitto, candidato alle Europee e condannato a 4 anni per corruzione. Del resto i voti sono voti e non puzzano. Ed è toccato al pregiudicato Silvio Berlusconi intervenuto in video conferenza all'assemblea ringraziare Fitto e allisciare Caldoro definendolo un esempio concreto di governo.

    Appunto. Qui viviamo il tempo all'incontrario, c’è poco da fare. Se solo provi a narrare queste storie a un non italiano, mi è capitato, ti fulmina: “Voi napoletani avete una fantasia creativa”. Senza parole.

    Dello statista Paolo Romano nel suo curriculum politico figura non una grande esperienza o doti particolari ma la sua fedeltà a Nicola Cosentino e il portafoglio e le relazioni del suocero Carlo Catone, ras dell’autotrasporto e della logistica in Terra di Lavoro ma anche proprietario di società in Italia e all'estero e ultimamente anche di Ipercoop. A fine anni Novanta, l’imprenditore Romano che ha sposato la figlia di Catone, Mina, viene eletto nelle fila di Forza Italia consigliere comunale a Capua. E con i giusti agganci – il 16 aprile 2000 – prende il volo e finisce in Consiglio regionale. Cinque anni dopo nonostante 8.966 voti di preferenza sarà un ripescaggio a riportarlo a Palazzo Santa Lucia.

    E’ il suocero ad aiutarlo pesantemente, nonostante la famiglia si è vista arrestare Castrese Catone, figlio di Carlo e cognato di Romano per un’inchiesta. Romano può contare anche sul sostegno di Nicola Cosentino, che avrà sempre un occhio di riguardo per Paolo. Con quasi 18 mila voti Romano approda all'assemblea di Santa Lucia. Ultimamente – visti i problemi giudiziari dei Cosentino – Romano si defila un po’. Core ingrato canterebbe il compianto Mario Merola. E’ non è una sceneggiata.

    Di buon mattino i finanzieri del Comando provinciale di Caserta hanno arrestato il sorridente Romano che poi anche lui si renderà conto ora che tanto da ridere non c’è. Sarebbe il caso caro Governatore – viste le tante inchieste – di inoltrare le dimissioni e lo scioglimento del Consiglio?

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  33. Napoli, la volontà politica di tagliare l’albero dai frutti maledetti.....
    di Don Maurizio Patriciello
    Parroco al quartiere Parco Verde in Caivano


    Napoli è una città bella e contraddittoria. Carica di energie pulite e di vecchie cianfrusaglie di cui non riesce a liberarsi. Come tutte le città conosce il bene e il male. Qui, come nel resto del Paese trovano spazio l’avarizia e la generosità; il peccato e la grazia.

    Napoli è dei napoletani, quelli veri, quelli onesti, quelli che si rompono la schiena per portare il pane a casa. Bisogna fare attenzione a non confondere questa gente con i camorristi che in questo luogo hanno attecchito e per i quali pare che non si riesca a trovare una soluzione. Certo il fenomeno ci interroga e ci inquieta. Non una volta sola abbiamo detto e scritto che là dove lo Stato è presente la camorra arranca. Questa regola vale sempre e dappertutto. Lo Stato deve far sentire la sua voce. Non la voce della repressione, quella verrà dopo e solo per chi lo merita. La voce deve essere quella autorevole del padre attento ai bisogni dei figli. Uno Stato pronto a educare, a rassicurare, a garantire libertà, e, quando occorre, a punire e reprimere. Credo che in Italia sia giunto il tempo di levarci le maschere e guardarci negli occhi. Diciamo subito, allora, che se in tanti quartieri della città non si facesse ricorso all'illecito, al sommerso, alla microcriminalità dovremmo celebrare funerali di giovani e bambini morti per fame, tutti i giorni. Chiedo a chi legge di non scandalizzarsi facilmente per ciò che scrivo.

    È giusto e doveroso difendere gli onesti e arrestare i malavitosi. Un Paese civile e democratico come il nostro deve garantire un sereno svolgimento della vita a tutti. Però dobbiamo essere uomini compiuti in senno e smetterla di fare gli struzzi. Chiedo a tutti di rispondere onestamente a questa domanda: che cosa deve fare un genitore quando, dopo estenuanti ricerche per trovare uno straccio di lavoro anche per pochi spiccioli, non riesce a trovare niente? So di correre qualche rischio di incomprensione, ma di fronte allo spauracchio della morte certa, per fame o freddo dei propri figli, quale essere umano non tenterebbe di risolvere il problema a modo suo?

    La camorra ha bisogno di persone oneste per sopravvivere. Ha bisogno dei “pinguini” da addestrare. E noi, pur sapendolo, li lasciamo nelle loro mani. Un vecchio proverbio napoletano dice che i bambini chiamano “babbo” chi gli dà da mangiare; e se a sfamarlo è la camorra, ecco che, per tanti, essa diventa padre e madre. Ha preso, cioè, il posto dello Stato. Lo ha usurpato? Certamente. Non era suo, non poteva e non doveva. Il guaio, però, è che quel posto era terribilmente vuoto. Se non si parte da queste considerazioni elementari, saremo sempre allo stesso punto. Ci indigniamo? Bene. Ci scandalizziamo? Meglio. Le cose, però, non cambieranno. D'altronde rispetto a chi ci ha preceduto stiamo peggio. Mi faccio capire.

    A Napoli e dintorni, da sempre, vige l’arte di arrangiarsi. Arrangiarsi vuol dire vivere alla giornata, cogliere l’occasione. Vuol dire non avere certezze per il futuro, inventarsi la vita giorno dopo giorno. Ma praticare questo mestiere diventa sempre più difficile. Perché ogni lavoretto inventato per arrangiarsi sfocia nella illegalità. Dal venditore ambulante di calzini alla signora che abbrustolisce spighe; dall’acquafrescaio all'imbianchino. Chiunque può essere fermato e multato perché non ha le carte in regola. Ecco allora la tenaglia che strozza i poveri. Che fare?

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  34. (CONTINUA)

    Il lavoro non c’è. I servizi sociali sono del tutto assenti. Lo stomaco reclama, i vecchi si ammalano, i fitti arrivano alle stelle. Che fare, dunque? Per noi poi, popolo amante della vita, c’è un altro dramma nel dramma. La miseria sta portando a una vera ecatombe di bambini non nati. Le nostre parrocchie, con gli scarsissimi mezzi che hanno a disposizione, ogni anno riescono a salvare dall'aborto certo centinaia di bambini. L’aborto dei poveri… così diverso dall'aborto dei ricchi. I poveri accolgono la vita come un dono, ma il terrore di non farcela convince tanti giovani a eliminarla prima che nasca. In Campania il servizio sanitario lascia a desiderare. Al danno si aggiunge una beffa beffarda e insopportabile. Ci ammaliamo di più perché più poveri e grazie ai rifiuti industriali del Nord Italia interrati in modo criminale nelle nostre campagne; e ci curiamo peggio perché gli ospedali sono strapieni e, nonostante la bravura e la generosità dei medici, neanche loro riescono a far fronte ai bisogni degli utenti.

    Se chi ci governa per davvero vuole estirpare la radice perversa della camorra con i mille problemi che a tutti i livelli genera deve partire da qui. Le parrocchie presenti su territorio, la scuola, le persone perbene, la marea di volontari, le varie Istituzioni possono offrire un grandissimo contributo purché si abbia la volontà politica di tagliare alla radice l’albero maledetto dai frutti velenosi.

    Don Maurizio Patriciello
    Parroco al quartiere Parco Verde in Caivano

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  35. GIUGNO 2014

    L'ANALFABETA POLITICO


    Il peggior analfabeta è l’analfabeta politico
    Egli non sente, non parla, né s’interessa
    degli avvenimenti politici.
    Egli non sa che il costo della vita,
    il prezzo dei fagioli
    del pesce, della farina, dell’affitto
    delle scarpe e delle medicine
    dipendono dalle decisioni politiche.
    L’analfabeta politico è così somaro
    che si vanta e si gonfia il petto
    dicendo che odia la politica.
    Non sa l’imbecille che
    dalla sua ignoranza politica nasce la prostituta,
    il bambino abbandonato, l’assaltante
    e il peggiore di tutti i banditi
    che è il politico imbroglione,
    il mafioso, il corrotto,
    il lacchè delle imprese nazionali e multinazionali.

    di Bertolt Brecht

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    Disoccupazione: sì,"strisciamo sul fondo" ma guai a dirlo...
    di Elisabetta Ambrosi
    (da Il Fatto Quotidiano)


    «Stiamo strisciando sul fondo, non raccontiamoci storielle». Ci voleva il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, col suo eloquio rozzo ma efficace, per ascoltare una delle poche dichiarazioni non ipocrite sul tema della disoccupazione giovanile. E d'altronde come altro si potevano commentare, se non così, gli ultimi dati Istat sulla disoccupazione giovanile che ci raccontano che al Sud il 60,9% dei giovani è disoccupato – anche se qui c’è perfetta parità di genere, maschi e femmine egualmente disperati – mentre al Nord è senza lavoro il 40,9% delle ragazze? E che continua inarrestabile il trend che ormai è sotto gli occhi di tutti dal 2008, e cioè non solo il fatto che in Italia lavorano sempre meno persone (22,6 milioni) ma soprattutto che la crisi è talmente grave che, oltre al calo dei contratti a tempo indeterminato (meno 255 mila rispetto al 2013), scendono anche – ormai anche loro sempre più rari – persino i contratti a termine (-3,1) e i contratti di collaborazione (-5,5%)?

    A fronte di tutto ciò, invece, ecco come risponde il ministro del Lavoro Giuliano Poletti in una intervista a Repubblica grottescamente intitolata “Basta con i vincoli U.E?“. “Credo che le misure che stiamo prendendo siano le misure urgenti che vanno prese”. E quali sarebbero queste misure? “Gli ottanta euro, l’apertura dei cantieri per le scuole, i pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione, il prossimo Sblocca Italia”. “Dunque nessuna misura urgente”, osserva giustamente il giornalista. “Più urgenti di così!”, risponde il ministro. Che poi più avanti spiega che “i dati Istat non hanno alcun collegamento con le cose che ha approvato questo governo”. Giusto, ma in un altro senso: perché davvero non si vede cosa c’entrino gli ottanta euro, destinati agli occupati stabilmente, con i disoccupati, oppure l’apertura dei cantieri per le scuole col fatto che per i giovani non c’è più lavoro, e soprattutto lavoro che dia reddito.

    Certo che crisi e disoccupazione non sono colpa di un governo che ha solo tre mesi. Eppure quello che stupisce, e un po’ agghiaccia, è la sistematica arte della negazione che ormai sembra essere il trend del momento: rimuovere il dramma, per raccontare non che tutto va bene, ma che presto tutto sarà risolto, che ci stiamo dando da fare – non vedete le maniche arrotolate? – per un futuro tutto rosa. Basta gufi e pessimisti, oggi è il tempo dell’ottimismo e della speranza.

    Non sarebbe invece molto più onesto prendere atto della tragedia che ormai si consuma sotto i nostri occhi, ammetterne la portata, dire che ci vorrebbe ben altro per risolvere una situazione strutturale di gravità inaudita, smettere di promettere che ci sarà un contratto unico a tutele crescenti con ammortizzatori davvero per tutti, che non vedremo mai? Ma se non ci sono neanche i soldi per estendere il buono Irpef alle famiglie monoreddito con tre figli, cioè una piccola minoranza in drammatica e assoluta emergenza all'interno di una maggioranza – le famiglie con figli – anch'essa in totale emergenza, ma di che stiamo parlando?

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  36. I blog de Il Fatto Quotidiano
    Maurizio Di Fazio
    Giornalista e autore

    Scandali: da Tangentopoli a Expo-MOSE, mai che gli italiani si scandalizzino...

    Entri nella maggiore età quasi a ridosso della prima Tangentopoli, e ti ritrovi adulto ai tempi dello scandalo Expo e/o Mose. I nativi digitali, probabilmente, nemmeno ne suppongono l’esistenza di figure e concetti d’antan come Pool di Mani pulite, Conto Protezione, concussi e concussori, Poggiolini e Mariolino Chiesa, Società Civile e monetine all’hotel Raphael, Pentapartito e l’altro Mariolino, Segni, in quegli anni l’Uomo Nuovo, col vento in poppa della mistica referendaria. Buon per i nativi digitali, almeno in questo caso; e comunque hanno avuto tutto il tempo per familiarizzare con le varie Rimborsopoli, Calciopoli, Vallettopoli, Terremotopoli, che si sono succedute senza posa nel frattempo, i ventenni d’oggi.

    Noi subentrati o immigrati digitali, ne serbiamo invece sempre fresca purulenta memoria, vent’anni dopo; e facciamo, quindi, una gran fatica a indignarci per gli inesauribili scandali avvenuti dopo, sempre più sfacciati, amorali e corazzati: di emergenza in emergenza, di nuovo che avanza in nuovo che avanza che poi un po’ alla volta lentamente, sistematicamente torna indietro, ai nastri di partenza, o peggio ancora.
    Ieri Montedison e finanziamento illecito dei partiti. Oggi Expo e Mose.

    Come se incombesse su di noi un’impossibilità concreta di scandalizzarci veramente, ormai. Una consapevolezza inane della natura pressoché farsesca dell’incurabile tragedia nazionale. E i colpevoli sono sempre altrove, e un plausibile capro espiatorio si trova sempre, e la protesta si sparpaglia in mille fiumiciattoli e correnti di antipartito, così lontane e così vicine, la politica ha bisogno come l’ossigeno dell’antipolitica. E se votano sempre in meno, meglio ancora per le caste.

    Scendeva in campo Berlusconi e oggi sale in cielo Renzi, cambiano i cerchi magici e perde colpi ancora in culla la Democrazia Inconfutabile e autoregolantesi di Internet; alla saggezza infinita e redistributiva del liberissimo mercato già non crede più nessuno da un pezzo, e i canali televisivi si sono moltiplicati come idre dalle cento teste, ma in fondo trasmettono tutti le stesse cose.

    L’eredità di Berlinguer è nostra? No, è nostra! O è vostra? Oggi che nemmeno Celentano si infervora più, e Vasco Rossi fuma sigarette elettroniche. Rubavano prima e rubano oggi, i politici, gli imprenditori, i burocrati italiani. A volte vengono scoperti e processati e qualcuno di loro finisce persino in galera. Poi ricominciano subito. Ne andrebbe della loro onorabilità.

    Le nuove tangenti, i nuovi appalti pilotati, i nuovi giochi truccati, sono anche peggio di prima: sempre più sofisticati, si ammantano di pellicole di “ambiente, solidarietà, progresso”. Inutile animarsi, ribellarsi, farsi il sangue amaro? Tutto questo succedeva e continuerà a succedere. In queste proporzioni e con questa violenta coerenza interna, in Occidente, soltanto in Italia.

    3 COMMENTI SCELTI DAL BLOG
    1)Scandalizzarsi?
    Gente che vota in massa collusi mafiosi e corrotti?
    State scherzando, vero??
    2)Ma se questi sono in giro praticamente da sempre facciamoci una domanda e diamoci una risposta..
    Agli italiani piace così perchè magari, nelle pieghe del sistema, dopo la scenetta sull' indignazione, magari piazzano la figlia/il figlio od il nipote.


    3)Accettiamo schiaffi e sputi in faccia purchè nessuno ci privi del nostro status quo,dimenticando cosa sia la dignità e cosa in realtà ci venga rubato giorno dopo giorno.
    Noi non ci ribelliamo perchè siamo un paese di codardi che aspettano solo di poter salire sul carro del vincitore .....

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  37. LUGLIO
    (Ovvero:sono in coda alla CARITAS!)

    I mendicanti
    vendono rose rosse.
    Frettolosi viandanti
    li schivano. Se fosse
    una scena già scritta
    sarebbe BRECHT….
    C’è una scena di sconfitta
    negli uomini e nei fiori.
    Non so come si annoveri
    quello che twitta
    “ CIAO SONO IN CODA ALLA CARITAS”.
    Forse è tra i nuovi poveri?
    Nella stagione arida,come spiega la F.A.O.,
    quando gira la ruota
    rischi la pancia vuota….

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    I blog de IlFatto Quotidiano.it
    Alessandro Robecchi
    Giornalista

    Crisi: sei povero? Calma, la riforma del Senato è quasi pronta!




    Chissà come sono contenti della riforma del Senato i 6 milioni e ventimila poveri assoluti d’Italia, aumentati nell’ultimo anno di 1 milione e 206 mila unità. E chissà come sono entusiasti del nuovo corso i 10 milioni di poveri “relativi” e come gongolano vedendo che le priorità di chi li governa riguardano il castigo per i senatori dissidenti, le mediazioni di Calderoli e il patto del Nazareno.
    Faranno la òla, altroché, di fronte al nuovo che avanza. Per ora il “nuovo” è che loro aumentano a ritmo spaventoso, e un altro “nuovo” è che la povertà – anche quella assoluta – riguarda anche gente che lavora. Come dire che il disagio e l’indigenza non sono più (da un bel pezzo) faccende di marginalità, ma componenti strutturali del paese (il 10% di poveri assoluti, quasi il 15% di poveri relativi), componenti strutturali a cui si presentano priorità come “governabilità”, “stabilità” e non, come si sarebbe detto un tempo, pane e lavoro.
    I dati Istat diffusi lunedì, come spesso fanno i numeri, specie se spaventosi, fanno un po’ di giustizia di tanti discorsetti teorici. Uno su tutti: l’eterna, noiosissima, stucchevole diatriba su destra e sinistra. Categorie vecchie: ora va di moda il sopra e sotto, il di fianco, l’oltre, e altre belle paroline utili all’ammuina. Poi, in una pausa della creatività ideologica corrente, arrivano quei numeri a ricordare che la forbice della diseguaglianza continua ad aprirsi, che i poveri aumentano (di moltissimo) e che il paese è ormai due paesi: chi ce la fa e chi non ce la fa. Con in mezzo chi ce la fa a fatica e vive nel terrore del passaggio di categoria, verso la retrocessione, ovviamente. A questi ultimi sono andati gli 80 euro di Renzi: un po’ di ossigeno ai “quasi poveri” che un tempo si sarebbero detti ceto medio.
    I numeri dell’Istat sono il solo vero discorso politico sentito in Italia negli ultimi mesi. L’unico che meriti di essere approfondito, un filino più serio dei pranzetti con Verdini, degli incontri in streaming, della pioggia di emendamenti sulla riforma della Costituzione. Un discorso che dovrebbe parlare anche a quella sinistra dispersa e bastonata che si oppone (ah, si oppone?) alle larghe e larghissime intese. Un solo punto, un solo programma, basta una riga: ridurre le distanze, attenuare le differenze, diminuire le diseguaglianze.
    Le cifre dell’Istat – e le persone che mestamente ci stanno dietro – indicano l’unica vera priorità del paese, altro che Italicum. E sarebbe interessante capire, sia detto per inciso, quanti di quei milioni di nuovi poveri, assoluti o relativi, sono scivolati indietro a causa dell’affievolirsi della parola “diritti”.
    Parola vecchia, bollata come conservatrice. E così non è più un diritto il lavoro, non è più un diritto la casa, e di scivolata in scivolata, la povertà diventa questione privata, colpa individuale e non, come dovrebbe essere, piaga pubblica e sociale. Il “governo più di sinistra degli ultimi trent’anni” non solo ha altre priorità, ma pare intenzionato a intaccare alcune forme di welfare (la cassa integrazione in deroga, per dirne una) facilitando, e non contrastando, lo scivolamento verso l’indigenza di altre centinaia di migliaia di italiani. Per questo i numeri dell’Istat sono il solo vero discorso politico sentito negli ultimi tempi: dicono di come oggi una sinistra che lotti contro le diseguaglianze non esista, e di quanto invece ce ne sarebbe bisogno. Come il pane. Appunto.










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  38. LA MORTE DI ROBIN WILLIAMS
    «Capitano, mio capitano» Quell’attimo fuggente che commuove

    di Beppe Severgnini

    Vi siete mai chiesti perché il finale di L’attimo fuggente , ogni volta, ci commuove? Ricordate? Il professor John Keating, cacciato dalla scuola, lascia l’aula per l’ultima volta. I suoi ragazzi non ci stanno, gli rendono omaggio. Uno dopo l’altro, salgono in piedi sul banco ed esclamano: «Capitano, mio capitano!».
    Perché quella scena,è così potente e universale? La ricordano in Asia, la citano in America, la riproduciamo in Europa nei convegni aziendali,( l’Amministratore delegato vorrebbe ispirare come il professor Keating, e rischia d’irritare come il pedante sostituto in cattedra).

    La risposta è semplice.
    Quella scena ci colpisce perché tutti sentiamo d’aver bisogno di un maestro. Sempre, dovunque, a ogni età. Desideriamo, magari senza rendercene conto, una guida che indichi la strada: per di là. Senza spingerci: basta l’incoraggiamento.

    «Maestro» era l’appellativo di Gesù Cristo nei Vangeli.
    L’omaggio dei contemporanei ai grandi del Rinascimento.
    Oggi il vocabolo non se la passa bene. Banalizzato a scuola e inflazionato nella vita quotidiana.
    Quando non possiamo vezzeggiare il prossimo con un titolo di studio, o adularlo con qualche carica altisonante (vicepresidente! egregio direttore!), ricorriamo a «maestro».
    Pittori di provincia, poeti dilettanti, cattedratici sgonfi, allenatori in pensione: un inchino verbale non si nega a nessuno.
    Non è un titolo ambito, maestro. Pochi sembrano interessati a conseguirlo. «C’è una grande gioia a incoraggiare il talento» diceva John Travolta, accademico sovrappeso e alcolizzato in una canzone per Bobby Long ;e cambiava la vita della ragazzina bionda e confusa che seminava dubbi e mutande per la casa.
    Quanti professori universitari, oggi, hanno voglia di diventare maestri? Ordinari, certo.
    Maestri, chissà.
    Quanti datori di lavoro pensano di dover dare, invece di continuare a chiedere; e insegnare, invece di limitarsi a giudicare?
    Quanti imprenditori e professionisti passano competenze e opportunità alle nuove generazioni, invece di considerarsi l’inizio e la fine di ogni cosa?

    Essere un maestro è un impegno: un’auto-certificazione di generosità.
    Esiste uno speciale egoismo contemporaneo che ha preso forme accattivanti. Qualcuno lo chiama individualismo; altri, realismo. Molti teorizzano la necessità di viziarsi, di salvaguardarsi, di pensare a sé. «Fatevi le coccole» è una delle più fastidiose espressioni pubblicitarie degli ultimi anni: le coccole si fanno ai bambini e a chi si ama, non a se stessi.
    Esiste l’onanismo del cuore, e non è bello da vedere.
    I maestri, di cui Robin Williams fornisce una poderosa interpretazione,non fanno coccole: offrono aiuto,suggerimenti e ispirazione. Segnalano svolte e insegnano prospettive. Indicano una via e la illuminano: può essere una scala verso il cielo, se uno crede all’aldilà o ai Led Zeppelin; o un passaggio sicuro nel bosco delle decisioni difficili.
    I maestri - quelli veri - non chiedono niente di cambio.
    La ricompensa è l’onore di trasmettere qualcosa, il piacere di aiutare chi viene dopo. Piacere gratuito; quindi, impopolare.
    Ci sono rischi, ovviamente. La domanda di maestri ha creato un’offerta vasta, varia e insidiosa. La parodia del carisma può ingannare chi cerca e ha fretta di trovare. Psicologi e filosofi trasformati in santoni; leader politici impegnati nella costruzione del monumento personale;sacerdoti che posano da guru; gruppi e sette che dispensano dal pensare e, nel calore del gruppo, addormentano le coscienze.

    Gli attimi fuggono, i gesti rimangono. Ecco perché il mondo s’è commosso, come non si vedeva da tempo in occasione della scomparsa di un attore. Non è solo la strabiliante abilità di Robin Williams che ci mancherà; non è tanto la sua strepitosa galleria di personaggi. Ci mancherà qualcuno che ci ricordi con passione, a colori, con poesia quanto abbiamo bisogno di maestri.
    Capitano, mio capitano!, tu lo insegnavi: qualunque cosa si dica in giro, parole e idee possono cambiare il mondo.

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  39. AGOSTO

    Hanno cominciato ieri, poco dopo l'annuncio della sua morte,e continuano anche oggi.Tutti quelli che hanno amato Robin Williams salgono in piedi su tavoli e scrivanie,si fotografano e postano le immagini su Twitter, con l'hashtag #CaptainMyCaptain.
    In piedi sui tavoli proprio come Robin Williams,nei panni del professor Keating...
    Nel film L'attimo fuggente,il professore,insegnava ai suoi alunni:di cambiare prospettiva,di avere un altro punto di vista sul mondo,sulla vita.Di non accontentarsi.Di avere una propria autentica visione.....
    Apre la serie la foto di una conduttrice di un telegiornale della televisione tedesca,che ha aperto il notiziario in piedi sulla scrivania.
    Nel film il professor Keating declamava una poesia di Walt Whitman, scritta nel 1865 dopo l'assassinio di Abramo Lincoln, che s'intitola appunto Oh capitano, mio capitano.
    Ecco il testo tradotto:


    Oh! Capitano, mio Capitano, il tremendo viaggio è compiuto,
    La nostra nave ha resistito ogni tempesta: abbiamo conseguito il premio desiderato.

    Il porto è prossimo; odo le campane, il popolo tutto esulta.
    Mentre gli occhi seguono la salda carena,
    la nave austera e ardita.

    Ma o cuore, cuore, cuore,
    O stillanti gocce rosse
    Dove sul ponte giace il mio Capitano.
    Caduto freddo e morto.

    O Capitano, mio Capitano, levati e ascolta le campane.
    Levati, per te la bandiera sventola, squilla per te la tromba;
    Per te mazzi e corone e nastri; per te le sponde si affollano;
    Te acclamano le folle ondeggianti, volgendo i
    cupidi volti.

    Qui Capitano, caro padre,
    Questo mio braccio sotto la tua testa;
    È un sogno che qui sopra il ponte
    Tu giaccia freddo e morto.

    Il mio Capitano tace: le sue labbra sono pallide e serrate;
    Il mio padre non sente il mio braccio,
    Non ha polso, né volontà;
    La nave è ancorata sicura e ferma ed il ciclo del viaggio è compiuto.
    Dal tremendo viaggio la nave vincitrice arriva col compito esaurito,

    Esultino le sponde e suonino le campane!
    Ma io con passo dolorante
    Passeggio sul ponte, ove giace il mio Capitano caduto freddo e morto.

    ----------------------------

    In lingua originale i versi di Whitman, che parlano di un tremendo viaggio compiuto e del dolore per la morte del condottiero, restituiscono ancor di più il senso di epopea americana che il poeta fondativo degli Stati Uniti ha sempre voluto inseguire.E in fondo sono anche un altro modo per dire addio a Robin Williams.

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  40. SETTEMBRE


    La notte è quieta senza rumore, c'è solo il suono che fa il silenzio
    e l' aria calda porta il sapore di stelle e assenzio,
    le dita sfiorano le pietre calme calde di un sole, memoria o mito,
    il buio ha preso con se le palme, sembra che il giorno non sia esistito...

    Io, la vedetta, l' illuminato, guardiano eterno di non so cosa
    cerco, innocente o perchè ho peccato, la luna ombrosa
    e aspetto immobile che si spanda l' onda di tuono che seguirà
    al lampo secco di una domanda, la voce d' uomo che chiederà:

    Shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell
    shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell
    shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell...

    Sono da secoli o da un momento fermo in un vuoto in cui tutto tace,
    non so più dire da quanto sento angoscia o pace,
    coi sensi tesi fuori dal tempo, fuori dal mondo sto ad aspettare
    che in un sussurro di voci o vento qualcuno venga per domandare...

    e li avverto, radi come le dita, ma sento voci, sento un brusìo
    e sento d' essere l' infinita eco di Dio
    e dopo innumeri come sabbia, ansiosa e anonima oscurità,
    ma voce sola di fede o rabbia, notturno grido che chiederà:

    Shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell
    shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell


    La notte, udite, sta per finire, ma il giorno ancora non è arrivato,
    sembra che il tempo nel suo fluire resti inchiodato...
    Ma io veglio sempre, perciò insistete, voi lo potete, ridomandate,
    tornate ancora se lo volete, non vi stancate...

    Cadranno i secoli, gli dei e le dee, cadranno torri, cadranno regni
    e resteranno di uomini e di idee, polvere e segni,
    ma ora capisco il mio non capire, che una risposta non ci sarà,
    che la risposta sull' avvenire è in una voce che chiederà:

    Shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell

    P.S.:Shomèr ma mi-llailah, è una citazione biblica (Isaia 21,11) e significa in ebraico "Sentinella, quanto resta della notte?". La canzone racconta di una sentinella in un avamposto militare nel deserto.

    Quella che segue è la spiegazione di FRANCESCO GUCCINI,l'autore del testo,inserita nell'undicesimo album del cantautore intitolato semplicemente :GUCCINI(1983)

    " L’ispirazione per Shomèr ma millailah? (che significa "Sentinella, a che punto è la notte?") mi venne dalla lettura della bellissima traduzione di Isaia proposta da Guido Ceronetti per l’Adelphi. Non si tratta, però, come qualcuno ha voluto vederci, di un simbolo di carattere sociale e politico, ma piuttosto di un universale antropologico. Isaia, il profeta che di regola minaccia fuoco e fiamme per quanti non seguono le indicazioni divine, a un certo momento della sua vicenda dimostra in pieno la sua profonda apertura umana, in un paio di versetti pieni di speranza: sentinella, a che punto stiamo della notte? Vale a dire, non bisogna stancarsi di porsi delle domande: questa è la cosa più importante fra tutte! Coltivare la curiosità, la sete di ricerca... Non ci si può mai fermare. La sentinella risponde: "La notte sta per finire, ma l’alba non è ancora giunta. Tornate, domandate, insistete!»

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  41. I blog de IlFattoQuotidiano.it
    Francesca Petretto Attrice


    Politica e critiche: siamo noi gli artefici del nostro destino
    di Francesca Petretto


    Forse è giunta l’ora, per questo Paese, di smetterla una volta per tutte con la solita tendenza alla critica facile, alla “rosicata” che accompagna puntualmente qualsiasi iniziativa di successo, sia essa una doccia gelata a scopo benefico,un film d’autore che mostra il vero volto di Roma e dell’Italia intera o un attore straordinariamente bravo, che decide di andare alla 71 esima Mostra del Cinema di Venezia onorando il suo impegno nei confronti di un’associazione come Artisti 7607, indossando una maglietta e alzando il pugno sinistro...

    La verità è che l’Italia è un Paese alla deriva per tanti motivi e uno di questi è l’apatia nella quale siamo immersi fino alla gola. Specialmente in questi ultimi decenni, l’italiano medio è accompagnato da un forte senso di frustrazione che lo porta inevitabilmente a vedere il male ovunque, ad essere ipercritico, ma paradossalmente inerte e passivo rispetto a tutto quello che gli succede intorno. E’ una criticità sterile e molto spesso vestita d’invidia e di risentimento, che non porta all’azione, ma all’osservazione morbosa delle vite degli altri nella speranza di trovarci dentro qualcosa per cui indignarsi e di cui parlare a colazione coi colleghi la mattina dopo.

    I successi altrui non sono qualcosa di cui gioire o essere fieri, ma uno specchio che restituisce impietoso l’immagine dei propri insuccessi, di fronte ai quali non si può che essere delusi e avviliti, ma anche pronti a trovare una scusa che possa giustificarli, una scusa che quasi sempre arriva da fuori e che non prevede nessun tipo di auto analisi. La colpa di tutto è sempre degli altri: del governo, della crisi, dell’economia, dei raccomandati, delle donne che la danno via come il pane, degli immigrati, del vicino di casa che ci odia, della società, della religione, dell’inquinamento, della pioggia, del caldo, di Paperino e di Babbo Natale.

    Ma quand’è che arriverà il momento di mettersi davvero in discussione? Quand’è che si troverà finalmente il coraggio di guardarsi dentro e di accettare il fatto che ogni cosa che succede nella nostra vita – salvo forse la morte, alla quale però forniamo spesso un buon aiuto affinché arrivi prima del tempo – in realtà, dipende da noi e solo da noi? Che se non siamo diventati ricchi e famosi, dirigenti d’azienda, calciatori, medici, ingegneri o semplicemente persone soddisfatte della vita che conduciamo, non è colpa della sfiga che ci perseguita o di qualcuno che ci mette i bastoni tra le ruote, ma solamente nostra?

    Gli unici davvero capaci di metterci i bastoni tra le ruote siamo noi stessi: a volte col poco talento, altre con la forte indolenza, altre ancora con la paura di non riuscire. Ma è molto più triste nascondersi dietro stupide e inutili critiche, dietro false insinuazioni, dietro sorrisi di scherno e dietro la rabbia cieca, piuttosto che ammettere di non essere all’altezza, di avere paura di provarci o semplicemente di non avere interesse a farlo.

    C’è però chi decide di provarci, chi si mette al servizio di una causa, chi crede ancora che esistano dei valori per i quali lottare, chi non vuole rinunciare ai propri sogni. Queste persone sono una vera e propria minaccia, perché sono la conferma che tutti abbiamo una scelta: che c’è chi sceglie di agire e chi di stare a guardare.

    Tutto il resto è noia. Immensa e nauseante noia.

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